In un’epoca contraddistinta da emittenti televisive e testate giornalistiche corrotte, deviate e asservite al potere, il Web 2.0 rimane ormai l’unica possibilità per la gente comune di accedere alla libera informazione altrimenti omessa, nascosta, negata e manipolata ad arte. L’immensa e sempre crescente fonte di informazione dal basso che blog e siti di controinformazione rappresentano è un patrimonio prezioso per l’umanità intera e sempre più persone scoprono che, negli ultimi anni, la vera informazione è fatta dalla gente e non più dai mainstream media o dai giornali.
Ci sono persone che scelgono di mettere il proprio nome e la propria faccia al servizio della libera informazione, raccontando, spiegando, a volte denunciando ciò che realmente avviene sul proprio territorio, in Italia o nel mondo. Ci sono persone che rischiano in prima persona per contrastare la falsità e l’ipocrisia delle fonti ufficiali e raccontare alla gente comune il reale stato della cose, così come direttamente osservato con i loro occhi e sentito con le loro orecchie, senza filtri, senza fini occulti, senza inganni.
Persone come Carlo Ruta, giornalista, saggista e storico siciliano che ha vissuto un calvario durato ben cinque anni. Un calvario iniziato nel 2008 con la condanna del Tribunale di Modica per reato di stampa clandestina a causa di una querela per diffamazione. La colpa di Ruta? Aver aperto il blog “Accadde in Sicilia” per fornire informazioni sui fenomeni mafiosi del territorio siciliano. La denuncia di alcune irregolarità su passate inchieste riguardanti casi di mafia gli costò la denuncia del procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera che si era sentito in qualche modo danneggiato.
Attaccare il mezzo per imbavagliare l’informazione scomoda
Com’è purtroppo costume nel Belpaese, invece di approfondire giudizialmente gli elementi addotti dal giornalista e valutare l’effettiva sostenibilità della denuncia da egli subita, si è puntato il dito contro lo strumento di (libera) informazione. Non importa verificare se l’informazione è attendibile e se vi sia stato effettivamente un reato, l’importante è, guarda caso, chiudere la bocca all’informazione non ufficiale.
Stampa clandestina, questa la motivazione della sentenza, poi confermata nel 2011 dalla Corte d’Appello di Catania. Secondo la sentenza di condanna, il blog di Carlo Ruta era a tutti gli effetti una testata giornalistica da considerarsi come prodotto editoriale ai sensi della legge 7 marzo 2001 n. 62 sulle nuove norme dell’editoria e sui prodotti editoriali e, poiché non regolarmente registrato fra le testate editoriali del tribunale, era da considerarsi mezzo di stampa clandestina ai sensi della vetusta e da lungo tempo inadeguata legge 8 febbraio 1948 n. 47 “Disposizioni sulla stampa”.
Una sentenza salva-blog di portata storica
“Sentenza annullata senza rinvio e imputato assolto con formula piena perché il fatto non sussiste”, queste le parole pronunciate dal Giudice Saverio Felice Mannino della III Sezione della Corte di Cassazione il 10 maggio 2012. Una sentenza che pone fine al calvario di Carlo Ruta e che sancisce in maniera chiara, inequivocabile e inappellabile che l’informazione sul Web non può essere considerata clandestina o illegale per il solo fatto di esistere. La legalità dei contenuti, ovviamente, è una questione a parte che va giudicata di volta in volta, ma da oggi non dovrebbe più essere messo in discussione il mezzo di informazione.
L’avvocato Giuseppe Arnone, difensore di Ruta e dei diritti della libera informazione sul Web, dopo la complessa e argomentata arringa che ha condotto all’assoluzione, ha giustamente affermato che “la Corte di Cassazione ha scritto una pagina storica in ordine ai valori della libertà di pensiero e d’informazione, anche in relazione ai nuovi strumenti di trasmissione del pensiero. Ancora una volta la massima Corte si è dimostrata ben più avanzata e liberale dei giudici di merito. Giustizia è stata fatta nel modo più alto”.
I famigerati blog personali, così terribilmente invisi a politici corrotti, mafiosi, servi del potere e tutti coloro che hanno qualcosa da nascondere all’opinione pubblica, sono oggi finalmente liberi di esistere e di informare poiché non sono prodotti editoriali, non rientrano nelle norme sancite dalla legge sull’editoria, non devono essere registrati e non costituiscono mezzo di stampa clandestina.
La portata storica della sentenza finale è enorme. Una conclusione differente avrebbe inflitto un durissimo colpo alla libertà di informazione sul Web, già fortemente minacciata da disegni di legge e trattati internazionali (vedi SOPA, PIPA, Fava, ACTA e CISPA). Diversi blogger avrebbero dovuto affrontare la terribile burocrazia italiana e sperare di ottenere la registrazione come testata editoriale per far sopravvivere i propri blog, mentre la maggior parte dei liberi informatori avrebbe probabilmente rinunciato a pubblicare contenuti e notizie sul Web, lasciando campo libero alle sole voci ufficiali.
Grazie a Carlo Ruta e all’avvocato Giuseppe Arnone abbiamo scampato tutti un pericolo enorme.
Ettore Guarnaccia
Nella foto il Monumento alla Libertà di Stampa di Conselice (Ravenna) – Credits: Giuseppe Nicoloro
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