Censorship, Social Media, World Wide Web

La strana ossessione dei governi per il controllo del Web

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Pochi fra i non addetti ai lavori sapranno che in questi giorni si è consumato l’ennesimo tentativo di minare la libertà di Internet e del Web. Tentativo che per il momento è sfumato, ma non è certo finita qui.

Venerdì 14 dicembre si è conclusa la conferenza WCIT-12 organizzata dall’ITU a Dubai con l’obiettivo di rivedere ed approvare il complesso di regole sui servizi internazionali di telecomunicazione (ITRs). Non vi è dubbio che fosse giunta l’ora di una bella revisione, visto che il documento risale all’ultima conferenza di Melbourne nel 1988, ben 24 anni fa, quando i telefoni cellulari si erano appena affacciati sul mercato, il wifi non esisteva, Internet era appena un embrione e il World Wide Web non era ancora stato inventato.

Il 3 dicembre, all’avvio dei lavori, il presidente della conferenza Mohamed al-Ghanim aveva auspicato larghissimo consenso e votazione unanime da parte delle 193 nazioni intervenute. Invece la conferenza si è chiusa con un risultato ben lungi da quanto auspicato, con il voto favorevole di soli 89 governi e con l’abbandono delle discussioni da parte delle delegazioni di diversi stati.

Un’accurata analisi delle nuove ITRs approvate nel WCIT-12 è disponibile in due parti distinte (il bello e il brutto) nel WCIT Watch del sito Access Now:

  • WCIT WATCH: Analysis of the new ITRs Part I (The Good)
  • WCIT WATCH: Analysis of the new ITRs Part II (The  Ugly)

 

Il tentativo di trasferire il controllo all’ITU

A causare la rottura del dialogo è stata soprattutto la proposta di trasferire il governo della rete Internet dall’ICANN all’ITU dietro la spinta decisa di due superpotenze come Russia e Cina, con la conseguenza di conferire ai governi statali la facoltà di accedere ai servizi di telecomunicazione e di bloccare contenuti indesiderati. Un nuovo tipo di controllo su scala globale che verrebbe attuato mediante il protocollo DPI appena ratificato dall’ITU come standard internazionale (Y.2770) per l’ispezione dei pacchetti di rete in transito su Internet, con l’obiettivo di filtrare e bloccare contenuti ritenuti scomodi ed inappropriati dai governi nazionali. Una pratica già in uso in diversi paesi con modalità identiche o analoghe e che, secondo le delegazioni discordi, minerebbe la libertà di espressione e di informazione sul Web, aprendo scenari molto preoccupanti sul fronte della censura governativa.

Un rischio che verrebbe aggravato dall’eventuale trasferimento di competenze all’ITU, poiché si passerebbe dal modello di governance multistakeholder dell’ICANN, che coinvolge sia le associazioni di utenti del Web che le grandi compagnie come Google, Facebook e Mozilla, ad un modello esclusivamente gestito dai governi. Un trasferimento che appare ingiustificato, visto che l’ICANN gestisce la rete Internet dal 1998 e in quasi 15 anni ha dimostrato di avere la capacità di governare un’infrastruttura così complessa ed articolata, trovando regole condivise, accompagnandone l’evoluzione tecnologica e salvaguardandone le splendide caratteristiche di sistema di comunicazione globale dotato di resilienza, affidabilità e disponibilità eccezionali.

Inoltre l’ITU sembra ereditare il proprio modello comportamentale dall’ONU e dai governi nazionali, agendo a porte chiuse e senza alcuna trasparenza. Il documento contente le raccomandazioni e le specifiche relative al protocollo DPI, infatti, è rimasto segreto e ad accesso riservato fino all’esilarante episodio che ne ha inavvertitamente provocato il rilascio alla giornalista australiana Asher Wolf, la quale, ignorando la successiva richiesta dell’ITU di mantenerlo riservato, lo ha reso pubblicamente disponibile (link).

 

Government-in-the-Middle

L’opinione pubblica ha così potuto scoprire che gli obiettivi prefissati dall’ITU per il DPI consistono nell’analisi, nel filtro e nel blocco delle comunicazioni P2P, in particolare quelle relative a BitTorrent, con l’identificazione dei fornitori di contenuti, di file e utenti specifici, ma anche nella censura di contenuti su YouTube, nella sorveglianza del gaming online, nel controllo dei proxy server, nell’intercettazione delle comunicazioni Skype e VoIP, aprendo il campo all’attuazione di ben altre subdole ed occulte pratiche. Un meccanismo molto simile all’attacco informatico denominato “Man-in-the-Middle” e che consiste proprio nell’intercettazione di dati in transito su una rete a scopo di analisi, filtro, modifica o blocco, tanto che il DPI potrebbe essere ribattezzato “Government-in-the-Middle“.

L’intento è chiaro: ancora una volta si è tentato di trasferire il controllo di Internet e del Web direttamente ai governi per attuare sporche politiche di censura, filtro, blocco e manipolazione, non a posteriori come nei precedenti tentativi, ma stavolta addirittura in tempo reale, prima ancora che il contenuto scomodo raggiunga la sua destinazione e, quindi, l’opinione pubblica. Ho già scritto più volte che la lotta al P2P, sponsorizzata da governi e lobby dell’intrattenimento, ignora volutamente i più basilari criteri di domanda-offerta, e che il fenomeno della condivisione illegale si estinguerebbe da solo qualora fosse adottata una politica di prezzi più aderenti alla domanda di mercato e alle reali possibilità dell’utenza finale.

Idem per la censura governativa: se i governi attuassero politiche sociali studiate, allestite, concordate e condivise con i cittadini, anche il fenomeno del dissenso verrebbe enormemente ridimensionato, rendendo di fatto inutile e antieconomico investire su strumenti e meccanismi di controllo, filtro e blocco dei contenuti scomodi. Ma sto purtroppo parlando di vere e proprie utopie.

In definitiva, come già avviene in altri ambiti, ad esempio per l’elezione dei rappresentanti politici e di governo, il cittadino non viene coinvolto per nulla poiché ritenuto ormai apertamente incapace di intendere e di volere, uno schiavo che deve sottostare in silenzio alle decisioni assunte dai vertici per il suo bene, colpevole di non riuscire a comprendere come le decisioni assunte dal governo possano tradursi a suo vantaggio.

 

Combattere il dissenso con ogni mezzo

Internet e il Web rappresentano l’ultima fonte di libera espressione e informazione, in forte contrapposizione all’informazione ufficiale deviata, asservita, controllata, filtrata, manipolata, totalmente sottomessa. L’ITU si affaccia sul panorama del controllo di Internet proprio adesso, dopo quasi 25 anni di grave e colpevole latitanza e mancato rispetto del proprio ruolo di regolatore delle telecomunicazioni internazionali, per un motivo ben preciso: affiancare un nuovo tentativo di controllare i contenuti del Web, vero e proprio cruccio dei governi, agli altri tentativi già attuati  o tuttora in atto per mezzo di disegni di legge (SOPA, PIPA, Fava, CISPA, IPAA, identità digitale UE, ecc.) e trattati internazionali (es. CETA e ACTA). Invece di cercare e favorire il consenso dei cittadini, molti governi hanno deciso da tempo di combattere il dissenso con ogni mezzo.

Il motivo per cui nessun tentativo è finora andato veramente a segno è da ricercarsi nell’eterogeneità degli interessi dei grandi attori in tema di controllo della grande rete mondiale. I governi vogliono ottenere il controllo totale sui contenuti, gli ISP vogliono la copertura dei costi di gestione delle infrastrutture, le lobby dell’industria dell’intrattenimento vogliono introdurre il controllo sui contenuti protetti addossando la responsabilità agli ISP, mentre le grandi Internet Company vogliono che l’accesso ai dati sia mantenuto il più possibile libero da filtri e censure perché ciò è fondamentale per il loro business.

Troppi interessi in gioco per poter trovare un accordo che accontenti tutti, ma anche troppi interessi dettati dal business con un approccio quasi dittatoriale, che non tengono in alcun conto pareri, necessità ed esigenze degli utenti finali, coloro che realmente pagano per l’utilizzo dell’infrastruttura, coloro che contribuiscono sempre più alla creazione dei contenuti, coloro che rappresentano il vero target del business, coloro che danno vita alla grande rete, coloro che hanno il diritto di intervenire sulla questione forse più di tutti gli altri.

La decisa azione di Google, che ha promosso ad ottobre la campagna Google Take Action (#freeandopen) con relativa petizione indirizzata agli utenti Internet di tutto il mondo, sembra aver spinto il governo USA a rigettare la proposta del WCIT-12 e ad abbandonare i negoziati, seguito da Canada, Regno Unito ed Unione Europea. Per il momento, quindi, Internet rimarrà così com’è, ma non è finita qui, perché si sta comunque lavorando su un compromesso che possa mettere d’accordo tutti i governi nazionali e gli stati che non hanno ancora firmato la revisione delle ITRs potranno sempre farlo in un secondo momento.

Una cosa è certa: la decisione finale, qualsiasi essa sia, non terrà minimamente in considerazione il parere degli utenti.

 

Ettore Guarnaccia

 


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3 Comments

  1. Piero

    Anche se riuscissero ad attuare questo progetto la Rete si evolverebbe di conseguenza. Tor è un esempio di evoluzione verso una maggiore tutela della privacy degli internauti.
    Piero

    • Infatti il DPI non riesce ad interpretare flussi crittografati con chiave non pubblica, ma la maggior parte delle comunicazioni della gente non addetta ai lavori viaggerebbero comunque in chiaro. In caso di attuazione, probabilmente ci vorrà del tempo prima che la rete Internet, il Web e gli utenti si adeguino ed adottino contromisure in grado di ovviare al controllo. Per fortuna, però, una via d’uscita c’è sempre…

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