La Motion Picture Association (MPA) è la controparte internazionale della più famosa Motion Picture Association of America (MPAA) ed è rappresentata in Italia dalla Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali (FAPAV). La MPA e la MPAA, insieme alla RIAA, sono le principali associazioni che rappresentano e difendono strenuamente gli interessi delle potentissime lobby dell’industria musicale e audiovisiva, le stesse che spingono da anni per l’introduzione di pesanti misure di controllo e limitazione dei contenuti come i trattati ACTA, CETA e TPBO o i disegni di legge CISPA, SOPA e PIPA di cui ho già ampiamente scritto. Misure che hanno tentato più volte di introdurre con la scusa della lotta alla pirateria e la difesa della proprietà intellettuale ma che sono state finora rigettate poiché, in realtà, comportano soprattutto la censura e la vessazione degli utenti e dei servizi di libera condivisione e informazione del web.
Da un articolo pubblicato ieri su TechDirt, intitolato “Motion Picture Association: The Cloud is a Threat to us and the Best Response is Censorship“, apprendiamo quale sia la nuova minaccia per gli interessi economici dell’industria cinematografica mondiale.
La MPA è in qualche modo famosa per dare segnali di squilibrio ogniqualvolta una nuova tecnologia si affaccia sul panorama internazionale, poiché per essi potrebbe significare la morte. Una delle loro chicche più famose di sempre è la previsione che il videoregistratore a cassette sarebbe stato come lo “strangolatore di Boston” per l’industria cinematografica, appena sei anni prima che i proventi dell’home video superassero abbondantemente quelli del botteghino. Tuttavia il loro comportamento sembrerebbe un po’ istintivo: tutto ciò che è nuovo deve essere automaticamente classificato come una minaccia, per cui la migliore risposta è farlo fuori a titolo definitivo. L’ultima minaccia individuata dalla MPA è nientemeno che il cloud computing!
In un recente evento tenutosi a Hong Kong, nel corso del quale la MPA avrebbe dovuto parlare di “come proteggere la screen community nell’era del cloud”, c’erano le avvisaglie di un’imminente catastrofe con molto poco spazio per eventuali suggerimenti. Anche se in realtà qualche suggerimento è stato fornito. Frank Rittman, il SVP di MPA, ha spiegato ai presenti che il cloud è il male e la censura è l’unica risposta possibile:
The news was even worse from Frank Rittman, SVP of the Motion Picture Association, Asia Pacific, who stated that potential pirates have all the digital tools they need to make illegal media sharing more viral than ever. “Digital online technology has enabled new channels of delivery for entertainment media.” – he said – “The cloud also represents a threat in that it facilitates piracy, and the pirates seem to have gotten into this space first.”
The answer to both problems, Rittman believes, is pushing for Internet Service Providers to block sites known to be troublemakers when it comes to Internet piracy. He pointed to examples of the practice in Europe, Indonesia, Malaysia, and South Korea as models of how this has worked as a low-cost way of cutting down on piracy that has met with some success.
Le dichiarazioni di Rittman puntano l’indice contro il fatto che i pirati multimediali posseggono tutti gli strumenti digitali per rendere più virale che mai la diffusione e la condivisione di contenuti illegali. Fra i nuovi canali di distribuzione di questi contenuti, il cloud rappresenterebbe a tutti gli effetti un’ulteriore minaccia per l’industria dell’intrattenimento poiché facilita la pirateria e, a quanto pare, i pirati l’avrebbero compreso con largo anticipo. La risposta, secondo Rittman, è spingere affinché gli ISP blocchino i siti che creano problemi di pirateria, come già avvenuto con successo in Europa, Indonesia, Malaysia e Corea del Sud, paesi, gli ultimi tre citati, non certo famosi per la libertà d’espressione.
Rittman si è anche lamentato del fatto che Hong Kong non approverà una legge in tal senso perché il processo è stato “sabotato dagli estremisti“. Beh, è un modo come un altro di considerare la questione. D’altro canto, sostenere che la soluzione sia una censura senza mezzi termini di interi siti web solo perché sei stato troppo lento nell’adattarti all’evoluzione tecnologica è semplicemente da pazzi e rappresenta un atteggiamento certamente più estremista di qualunque altro. Ma la censura di interi siti si sta spingendo troppo oltre e, contrariamente alle sue affermazioni, non ha funzionato né riscontrato alcun successo. Di certo non ha spinto la gente a tornare a pagare per vedere i film.
In realtà, le dichiarazioni di Rittman sono un esempio del problema, ovvero persone così fortemente focalizzate sull’obiettivo di “fermare la pirateria” da non preoccuparsi minimamente delle possibili conseguenze delle loro azioni sull’innovazione, né se queste saranno realmente funzionali o meno ai loro stessi interessi commerciali.
Un pachiderma in una cristalleria, ecco cosa rappresenta il complesso delle lobby dell’intrattenimento rispetto ai diritti fondamentali della libertà di espressione e di condivisione, per le quali Internet e il web sono diventati i principali strumenti di diffusione. Questa atavica insistenza dell’industria multimediale nel voler imporre a tutti i costi la propria folle visione, senza voler minimamente considerare i reali motivi dello straordinario e finora inattaccabile successo della pirateria multimediale, finirà prima o poi con il diventare il vero strangolatore di Boston, con l’unica differenza che le sue braccia saranno rappresentate dalle stesse MPAA e RIAA.
Eppure la soluzione è estremamente semplice: abbassare i prezzi ad un livello ragionevole e migliorare i servizi di diffusione e condivisione ovvero, in pratica, mettersi sullo stesso piano dei pirati, combatterli con i loro stessi mezzi, adottando i medesimi strumenti tecnologici e gli stessi canali di distribuzione, ma con l’indiscusso vantaggio di potervi investire capitali enormemente più ingenti. In poco tempo, i proventi che oggi la pirateria sottrae all’industria multimediale si trasformerebbero in guadagni ancor più voluminosi per le lobby, con estrema soddisfazione degli autori, delle stesse case discografiche e cinematografiche e degli utenti finali, nel pieno rispetto della proprietà intellettuale e dei diritti fondamentali, prima fra tutti la tanto vituperata libertà d’espressione. Con buona pace della pirateria.
Ettore Guarnaccia