Sta per concludersi la consultazione pubblica del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sui contenuti del programma “La Buona Scuola”. Le prime conclusioni tracciano uno scenario alquanto preoccupante, contraddistinto da tecnofilia, impreparazione e incompetenza, pericolosamente unite alla grave assenza del governo centrale. Su queste basi non potrà verificarsi alcuna reale evoluzione del sistema scolastico.
Mancano poco più di dieci giorni alla chiusura della consultazione pubblica sul programma “La Buona Scuola” varato dal MIUR del governo Renzi e le circa 1.700 proposte finora raccolte sull’apposito portale web consentono già di trarre le prime conclusioni. Come già fatto per il precedente articolo, mi sono limitato a considerare proposte e commenti inerenti i temi della connessione e della digitalizzazione, più affini al mio background, prendendo in esame oltre un centinaio di tematiche nelle sezioni “Ogni Scuola Connessa”, “Pensiero Computazionale”, “Programma Digital Makers” e “Formazione dei Docenti”.
Il più grande desiderio del pubblico: la connessione
Il primo evidente dato che si può trarre, stando al volume di proposte e commenti sul tema, è che la netta maggioranza dei partecipanti è interessata alla connessione, tanto che una proposta sul tema ha collezionato da sola ben 73 commenti e 137 like, seguita da numerose altre su aspetti specifici dello stesso argomento. Numerosi partecipanti alla sezione “Ogni Scuola Connessa”, infatti, chiedono una connessione Internet che sia disponibile in tutte le aule, veloce, affidabile, sicura, all’avanguardia e con costi non a carico delle scuole, anzi possibilmente gratuita. A differenza del MIUR, i proponenti si pongono velatamente il problema della sicurezza (quantomeno riferita alla connessione) chiedendo filtri della navigazione, firewall e controllo degli accessi.
Molti hanno proposto di definire e attuare sinergie con compagnie di telecomunicazione e provider di servizi, coinvolgendo MIUR, AGID e RAI, ad esempio con la creazione di una rete informatica nazionale o attraverso l’estensione delle reti universitarie, valorizzando le esperienze già acquisite sul territorio come la rete Lepida (la rete delle PA dell’Emilia-Romagna istituita dalla legge regionale n. 11/2004, costituita da collegamenti in fibra ottica ed estesa nel territorio appenninico attraverso dorsali radio in tecnologia Hyperlan), la rete UnicasNet (80 Km di fibra ottica per una rete universitaria modello indirizzata allo sviluppo di Cassino e del Lazio meridionale) e la rete GARR-X (infrastruttura di rete in fibra ottica a banda ultralarga dedicata alla comunità italiana dell’Università e della Ricerca).
Purtroppo, oltre vent’anni dopo l’avvento di Internet e ben 14 anni dopo l’avvento dell’ADSL, molte aree del territorio italiano sono ancora afflitte dal Digital Divide (l’assenza e l’impossibilità di attivare la banda larga), tanto che la disponibilità della connessione veloce per molti istituti scolastici dipende dalle scelte effettuate localmente dai rispettivi comuni di appartenenza. Le principali richieste dei proponenti riguardano l’investimento su infrastrutture di connessione per superare gli attuali casi di isolamento, con una certa indipendenza dall’amministrazione locale a favore di una regia centrale che coordini le soluzioni di connessione a livello nazionale. Alcune interessanti proposte vanno oltre la semplice connessione e chiedono l’introduzione di sistemi di instant messaging per la comunicazione interna agli istituti, fra istituti e verso le autorità centrali.
Wi-Fi: si o no?
Un tema che ha riscosso molti favori, ma ha anche sollevato molte critiche, è quello del Wi-Fi. In tanti ne hanno chiesto la diffusione in tutti gli istituti e nelle aule, ricorrendo a soluzioni longeve e scalabili, studiando adeguatamente la propagazione dei segnali negli ambienti o creando un accesso federato e sicuro alle infrastrutture Wi-Fi del mondo della ricerca e dell’istruzione in ambito internazionale, pratica già molto diffusa a livello universitario. Tanti anche i detrattori della tecnologia di comunicazione senza fili che ne contestano la pericolosità per la salute degli alunni, i quali verrebbero irradiati durante tutta la loro (lunga) permanenza in istituto, e invocano l’uso del buon senso e il principio di precauzione.
Il tema è caldo almeno dal maggio 2011, quando fu avviato il progetto “Scuole in WiFi” sponsorizzato dal MIUR e dalla Pubblica Amministrazione, subito seguito, però, da una Risoluzione del Consiglio d’Europa, che invitava i governi degli stati membri a limitare l’esposizione ai campi elettromagnetici, e da un comunicato stampa dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) che decise di classificare come “potenzialmente cancerogene” le onde elettromagnetiche. Il Consiglio d’Europa raccomandò in particolare lo sviluppo, a cura dei ministeri coinvolti (educazione, ambiente e salute), di specifiche campagne informative dirette ad insegnanti, genitori ed alunni per allertarli sui rischi specifici delle microonde e dell’uso prematuro e prolungato di dispositivi mobili, nonché di preferire connessioni Internet cablate e regolamentare l’uso di dispositivi wireless per i bambini in generale e in particolare nelle scuole. Un invito evidentemente ignorato dal governo italiano.
C’è chi ha proposto di ripensare i criteri di cablaggio interno nei locali degli istituti, chi di ricorrere alla connessione via rete elettrica, chi di ricorrere al buon senso. Purtroppo lo sviluppo tecnologico ha da tempo intrapreso una precisa direzione verso l’estrema mobilità e portabilità dei dispositivi informatici e, come ormai tutti sanno, ciò non è possibile senza una connessione di rete senza fili. Basti pensare a smartphone, tablet, phablet e netbook che non dispongono di presa di rete ethernet fissa ma solo di connessioni wireless come il Wi-Fi, la rete cellulare (3G, 4G e LTE) o il bluetooth. Sarà interessante scoprire cosa dedurrà il MIUR dalle consultazioni ricevute su questo specifico tema. Di certo l’introduzione del Wi-Fi nelle scuole per la didattica, irradiazione a parte, non sarà certo semplice né indolore in termini di sicurezza, logistica e regolamentazione interna, come si evince dalle testimonianze portate da alcuni commentatori.
Tablet e analfabetismo
Diversi proponenti si dichiarano a favore dell’introduzione e della larga diffusione dell’uso dei tablet (o quantomeno degli e-reader) nella didattica in sostituzione dei testi cartacei. Sebbene queste proposte incontrino il favore di molti commentatori, anche questo tema è alquanto controverso, tanto che è possibile rilevare posizioni nettamente contrastanti. Da un lato ci sono coloro che vorrebbero eliminare il peso e la scomodità dei libri da cartelle e zaini dei poveri alunni, in favore della digitalizzazione dei testi di studio, di una maggiore e migliore fruibilità di contenuti multimediali e di ricerche ed esperienze online. Dall’altro, c’è chi denuncia una preoccupante fatica di apprendimento che gli studenti stanno sperimentando nell’uso di dispositivi digitali, sia nello studio che nella scrittura.
Alcuni docenti, infatti, attribuiscono al crescente uso di dispositivi informatici l’altrettanto crescente numero di soggetti analfabeti, sprovvisti di proprietà di linguaggio, di correttezza grammaticale o anche solo di una calligrafia decente. “Il tablet è la morte della cultura” – lamenta in particolare una commentatrice del portale, d’altronde basta fare un giro su Facebook e dare un’occhiata alle conversazioni digitali (ahimè quasi sempre pubbliche, nda) fra adolescenti e ragazzi in genere: congiuntivi assenti, condizionali impropriamente usati, articoli e abbreviazioni improbabili, parole senza le dovute consonanti doppie e verbi trasformati in congiunzioni sono ormai la regola. Qualcosa di molto analogo si può spesso ammirare in ufficio o sui muri delle città metropolitane.
Per fortuna c’è anche chi ha scelto di adottare una posizione moderata sul tema, riconoscendo l’utilità dei dispositivi digitali, in quanto strumenti abilitanti di una didattica più moderna e dinamica, ma anche dei classici libri che possono ancora integrare l’uso dei tablet, senza che ciò escluda gli uni o gli altri. Anche su questo tema sarà interessante verificare quali deduzioni trarrà il MIUR a fine consultazione.
Ottimizzazione, supporto e manutenzione delle tecnologie
Diversi proponenti e commentatori spingono per la creazione di progetti centrali di standardizzazione e omogeneizzazione delle infrastrutture informatiche, delle reti (come già citato) e delle piattaforme software. Progetti che prevedano opportune fasi di disegno, accurati studi di fattibilità, progettualità di medio e lungo termine, definizione degli acquisti necessari, ricerca dei finanziamenti e adeguati criteri di sicurezza delle informazioni e di tutela della privacy. Standard e modelli architetturali definiti e approvati centralmente, quindi omogenei ma opportunamente dinamici per adattarsi alle diverse realtà logistiche e didattiche degli istituti italiani, con l’obiettivo di eliminare le peculiarità, diminuire sensibilmente gli sprechi e ottimizzare la formazione digitale di dirigenti e docenti. C’è comunque qualcuno che rivendica, in antitesi, la validità di realizzare progetti informatico-didattici d’istituto senza autorizzazione né intervento dell’autorità centrale.
I vantaggi di un regia centrale sulle soluzioni tecnologiche sono innegabili sotto diversi aspetti: standardizzazione, economia, sicurezza, gestione dei trasferimenti di personale, integrazione fra istituti, uso di un linguaggio comune, riferimento unico per problematiche infrastrutturali o tecnologiche, e molto altro ancora. Interessante la proposta di ideare e condividere una roadmap centrale, una sorta di agenda digitale del MIUR che indichi chiaramente il disegno generale, dove si intende andare e, soprattutto, come arrivarci. Altrettanto interessante è la proposta di un sistema centrale di selezione e acquisto delle dotazioni informatiche, che asseconderebbe le esigenze di standardizzazione sopra espresse e agevolerebbe l’ottenimento dei necessari ricambi, la sostituzione dei dispositivi guasti o difettosi, le attrezzature dei laboratori e le regolarizzazione delle licenze d’uso dei software.
Sono diversi i consultati che evidenziano la necessità di un supporto tecnico on-site presso gli istituti scolastici, poiché la gestione delle infrastrutture e delle piattaforme applicative richiede elevate competenze e consulenze tecniche piuttosto costose. Una regia centrale che fornisca la necessaria evangelizzazione tecnologica e le competenze richieste consentirebbe di ottimizzare gli sforzi, anche economici, per assicurare il fondamentale supporto tecnico e operativo a dirigenti e docenti. C’è anche chi invoca l’istituzione di un tecnico qualificato e opportunamente preparato per ciascun istituto.
Altro importante aspetto segnalato dai partecipanti alla consultazione è quello della manutenzione delle infrastrutture e delle piattaforme, con diverse lamentele per i costi di manutenzione hardware e software a carico degli istituti, le necessità di aggiornamento, la cronica mancanza di fondi, i tagli del MOF e le difficoltà economiche dei comuni. Molte le testimonianze sulla partecipazione da parte di genitori e volontari all’allestimento e all’aggiornamento dei laboratori informatici e delle infrastrutture, iniziative però spesso invise dai dirigenti scolastici e dalle autorità per questioni di responsabilità e sicurezza. Dalle segnalazioni raccolte emergono alcune proposte condivisibili di includere opportuni programmi di manutenzione nei contratti di sviluppo e acquisizione di infrastrutture hardware e piattaforme software, di regolarizzare le licenze d’uso e di istituire appositi piani di ammortamento delle dotazioni strumentali al pari delle aziende.
Formazione e consapevolezza
Dall’analisi delle proposte raccolte sul portale del MIUR, ho notato con estremo piacere che il pubblico dei proponenti è sensibile all’esigenza di maggiore consapevolezza sull’uso proficuo e sicuro delle tecnologie digitali e di una migliore e più assidua formazione di docenti, dirigenti scolastici e personale ATA sia sull’uso e la gestione delle piattaforme che sull’adozione di una didattica moderna e imperniata sul digitale. La maggior parte dei consultati ha evidenziato la necessità di formazione obbligatoria e continuativa sull’uso delle tecnologie informatiche per i docenti, con l’introduzione nel programma di best practice, criteri di sicurezza, principi basilari e utilizzo consapevole. Sicurezza e privacy, educazione ai social media e didattica innovativa sono gli altri aspetti più gettonati dal pubblico, insieme alla proposta di diffondere ed utilizzare piattaforme di e-learning come complemento all’attività di formazione e crescita individuale, magari optando per soluzioni open source come Moodle.
Qualunque sia il mezzo attraverso cui erogarle, non v’è dubbio alcuno che la formazione e la consapevolezza costituiscano un pilastro fondamentale per tutto l’insieme delle proposte formulate nell’arco della consultazione pubblica. Non si può nemmeno lontanamente pensare di allestire una macchina digitale così strutturata, complessa e distribuita sul territorio nazionale da affidare a dirigenti e docenti senza prima averli resi sufficientemente edotti sulle migliori modalità di utilizzo, sfruttamento, gestione e amministrazione.
L’esempio delle LIM è emblematico: quasi 9 istituti italiani su 10 dispongono oggi delle lavagne interattive multimediali (circa 70.000 in tutto), installate nell’ambito del progetto “Scuola Digitale” come “strumento efficace per promuovere un percorso graduale di innovazione della didattica”, ma delle quali ben 8 su 10 giacciono tuttora inutilizzate a causa della grave carenza di formazione specifica da parte di docenti e dirigenti. È impensabile affrontare l’innovazione promessa dal rapporto “La Buona Scuola” adottando le medesime premesse che si sono dimostrate profondamente errate.
La formazione specifica, l’educazione digitale e l’aumento della consapevolezza sull’uso proficuo e sicuro delle moderne tecnologie devono affiancare, se non addirittura precedere, qualsiasi progetto di introduzione o potenziamento di infrastrutture digitali, di connessione o di didattica fondata su dispositivi digitali. Non può permanere alcun dubbio a riguardo.
Sviluppo e acquisizione del software
Un tema che è stato oggetto di molte prospettive differenti e, di conseguenza, di molta confusione è stato quello del software. C’è chi propone il ricorso all’opera degli studenti universitari per la scrittura di applicazioni destinate alla didattica, chi ha pensato invece agli studenti ITIS. C’è chi propone l’adozione di prodotti open source o di software con licenza gratuita, chi spinge per soluzioni definite centralmente dal ministero e chi rivendica l’indipendenza di selezione ed acquisizione da parte dei singoli istituti scolastici. Come spesso avviene anche nelle aziende, questo è uno dei temi più controversi e più mal governati in generale.
Partiamo quindi da alcuni dati oggettivi: oggi molti istituti fanno ricorso a soluzioni scelte in autonomia in base a criteri spiccioli di mera integrazione e facilità d’uso, non supportati (come avrebbe dovuto essere) da un capitolato ministeriale che dettasse i criteri minimi da rispettare, quantomeno in termini di infrastruttura, sicurezza, standard, protocolli e formati. Il risultato è che ogni istituto ha la propria piattaforma, ovviamente diversa da quelle degli altri istituti e, anche dove c’è stata identità di scelta sul prodotto o servizio, la forte personalizzazione imposta ha impedito un qualsiasi straccio di omogeneizzazione delle soluzioni. Non entro in scomodi dettagli ma, in quei pochi casi in cui ho potuto posare gli occhi sulle soluzioni scelte da istituti scolastici del mio territorio, sono rimasto inorridito per la colpevole assenza dei criteri minimi di sicurezza e protezione dei dati (es. mancato ricorso dal protocollo HTTPS, controllo accessi carente, scarse garanzie di riservatezza o integrità dei dati, ecc.).
In diversi casi le soluzioni adottate per il registro elettronico, per le piattaforme di valutazione e per quelle (poche) di e-learning soffrono di evidenti problemi di sicurezza, stabilità, usabilità, integrazione e performance. Una situazione non certo idilliaca che è stata generata ed alimentata dalla pressoché totale assenza di governo della tematica da parte del ministero, reo di non aver fornito una guida chiara sui capitolati da utilizzare nei bandi di gara (quando si sono svolti), né sui modelli standard di riferimento, né sulle best practice e le misure minime di sicurezza da rispettare. L’anarchia instaurata dal MIUR e posta nelle mani inesperte e inconsapevoli di dirigenti scolastici e docenti non poteva che produrre l’attuale situazione di sbando generale in cui si trova il sistema informativo scolastico.
Il portale ha raccolto proposte sulla registrazione delle lezioni, l’allestimento di portali web per fruire dei contenuti multimediali prodotti e la creazione di portali di censimento e valutazione degli istituti scolastici basati sul concetto di reputazione (una sorta di “SchoolAdvisor” sulla falsa riga di “TripAdvisor”), ma appare evidente, ad un occhio “allenato”, come qualsiasi ulteriore evoluzione tecnologica intrapresa nell’ambito di una situazione così mal governata e scoordinata non possa che generare costi, impegni e difficoltà nettamente superiori rispetto ad uno scenario di governo centralizzato con criteri condivisi e ottimizzati.
Su questo tema, a mio personale parere, c’è ancora molta strada da fare. Forse il miglior punto di partenza consisterebbe nella definizione, a livello centrale, di un modello standard di riferimento, nella selezione e l’adozione di prodotti di mercato accreditati e riconosciuti (che richiedano un minimo livello di personalizzazione), nell’unificazione delle piattaforme e nel ricorso a strumenti web (es. CMS, e-Learning, social, portali, ecc.) sicuri, certificati e opportunamente protetti. Anche in questo ambito sono molto curioso di verificare quali conclusioni verranno tratte dal ministero e in quali soluzioni verranno in seguito tradotte.
Digital makers e pensiero computazionale
Il programma “Digital Makers” de “La Buona Scuola”, probabilmente sull’onda dell’invito in tal senso di Barack Obama, è volto a trasformare i ragazzi da meri consumatori digitali a progettisti e produttori di siti web, app e videogames. Il tema di fondo è la creatività unita ad una consapevolezza critica verso il digitale, con i docenti che “devono” sentirsi pronti ad utilizzare le esperienze maturate dagli alunni e ad integrarle nelle loro metodologie didattiche.
Tralasciando le considerazioni già fatte sulla preparazione di docenti e dirigenti in merito alle tecnologie digitali, le principali proposte sul tema riguardano l’uso dei tablet in classe, l’adozione di sistemi operativi (soprattutto open source) che siano certificati dal MIUR, il conseguimento della patente europea del computer (ECDL – European Computer Driving License) in ambito Microsoft (che contrasterebbe con l’adozione di sistemi operativi open source, nda), oppure il reinserimento dell’ora di informatica, ma (come già citato) a patto di avere a disposizione un tecnico esperto per le indispensabili attività di supporto, manutenzione e aggiornamento.
Non mancano però proposte interessanti e condivisibili come la creazione di blog di classe, come spazio creativo o dedicato a progetti editoriali, giornalismo, scrittura creativa, pubblicazioni multimediali, argomenti di studio, esperimenti, lezioni registrate e molto altro ancora, oppure come l’adozione del cooperative learning per la condivisione online di conoscenze ed esperienze. Restano purtroppo da verificare le possibilità di attuazione di quanto proposto, stante l’attuale situazione di assenza di governo e coordinamento centrale, di eterogeneità delle soluzioni fra istituti e di scarsa consapevolezza generale su questi temi fra dirigenti e docenti.
Tema controverso, infine, quello legato al “Pensiero Computazionale”, riferito al percorso educativo volto a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente, come qualità importanti per il cittadino di domani. In quest’ambito, il mezzo che il ministero ritiene più semplice e divertente per centrare l’obiettivo è la programmazione (coding) in un contesto di gioco, anche attraverso una serie di lezioni interattive (e non) che il MIUR e il Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI) mettono a disposizione delle scuole secondo due percorsi, uno base e uno avanzato.
Anche qui regna purtroppo la confusione, soprattutto sui concetti. Il pensiero computazionale è trovare soluzioni nuove e originali ai problemi, niente a che vedere con il coding (scrivere codice di programmazione) né con le competenze digitali e informatiche. Esso è molto più affine al concetto di pensiero laterale e va allenato con altre modalità nonché affiancato da materie come il problem solving, la statistica, l’analisi delle probabilità, gli algoritmi di trasformazione e le tecniche di analisi dei dati, come giustamente qualcuno ha fatto notare sul portale della consultazione. Si tratta quindi di sviluppare l’auto-imprenditorialità, il saper fare e il saper risolvere, la qualità, la creatività e l’innovazione, concetti ben diversi dal mero sviluppo di software.
In ogni caso, parlare di sviluppo di competenze digitali e di pensiero computazionale nello stato generale in cui si trova il sistema scolastico rispetto alle moderne tecnologie di comunicazione e telecomunicazione, e che qui è stato ampiamente rappresentato, è pura fantascienza. Parlarne oltretutto senza immettere nell’equazione doverosi criteri di consapevolezza ed educazione sull’importanza della dignità dell’individuo, delle informazioni personali riservate e della loro protezione a tutti i livelli (fisica, verbale, scritta e online su social media, blog, ecc.), significa aumentare a dismisura il gap generazionale nei confronti di un utilizzo realmente sano e consapevole delle tecnologie digitali. Significa continuare a produrre generici sviluppatori di applicazioni, non saggi sviluppatori di applicazioni sicure. Ancora oggi non ci si rende conto di quale potenziale negativo e devastante questo possa rappresentare.
Conclusioni personali
Quanto ho raccolto e valutato finora sulla consultazione pubblica rappresenta degnamente quella che è l’odierna cultura della società italiana, contraddistinta da una parte da un’estrema tecnofilia, votata alla connessione veloce, all’instant messaging, al Wi-Fi, ai dispositivi digitali e allo sviluppo di software, dall’altra da una profonda ignoranza di fondo, fatta di impreparazione, incompetenza, analfabetismo, scarsa consapevolezza e tanta, tanta confusione. Il tutto è condito dalla più totale assenza di visione: nessun governo centralizzato, nessun coordinamento, nessuna pianificazione, neanche una misera indicazione di dove vogliamo andare. Tutto ciò è veramente desolante.
Questa consultazione rappresenta la perfetta apoteosi dell’uso senza la conoscenza, il trionfo del perfetto allineamento alla massa: tutti a chiedere connessione, dispositivi e telecomunicazioni digitali in qualsiasi ambito, per poi lamentarsi dell’assenza di manutenzione, supporto, formazione e consapevolezza. Quale migliore rappresentazione della società odierna, in cui 9 persone su 10 hanno costosissimi smartphone e tablet di ultima generazione ma non hanno mai aperto un manuale, non sanno realmente come sono fatti e come funzionano, e ne usano sì e no un decimo delle funzionalità, oltretutto in mille modi sbagliati e pericolosi?
La tecnologia prima di tutto: prima dell’apprendimento, prima dei contenuti, prima di capire quali effetti essa possa avere sulle nostre capacità cognitive e sulla salute. “La Buona Scuola”, adesso è lampante, non è altro che una grande opera di propaganda allestita per dare in pasto al pubblico ciò che effettivamente vuole, tralasciando volutamente e colpevolmente aspetti fondanti e più urgenti come la coscienza individuale, l’educazione dei nostri figli come individui e come cittadini, la sicurezza personale, l’evoluzione individuale e spirituale delle nuove generazioni, nonché lo sviluppo delle capacità innate di pensare fuori dagli schemi, che i nostri figli dimostrano fino a 5-6 anni ma che poi vengono irrimediabilmente represse al loro ingresso nel sistema scolastico.
Così mi viene in mente la seguente frase del professor John Keating (Robin Williams) nel celebre film “L’attimo fuggente”:
Ci teniamo tutti ad essere accettati, ma dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri, anche se ad altri sembrano strani e impopolari, anche se il gregge dice: “Non è beeee”. Come ha detto Frost: “Due strade trovai nel bosco e io, io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso”.
Forse è il caso di chiederci dove ci porterà una “buona scuola” costruita su queste premesse.
Ettore Guarnaccia
“Benvenuto nel magico mondo della scuola”viene da dire dopo aver letto le tue personali e convincenti conclusioni. Nella tua analisi dimentichi però di considerare l’aggravante della burocrazia esistente, che costringe oggi i docenti a compilare moduli su carta ed online, con perdite di tempo e costi francamente inaccettabili. Per capirci meglio: una delle ultime richieste intendeva costringere gli insegnanti ad “incollare le pagine del verbale del consiglio di classe su di un apposito registro”.Tutto ciò mi sembra “leggermente” superato. Ma è solo un esempio. Potrei citare un distorto ed inefficace uso della comunicazione a scuola. Oggi le caselle di posta elettronica dei docenti sono intasate da decine di mail, che vengono letteralmente “sparate”dalle segreterie senza alcuna selezione dei destinatari. Le comunicazioni vengono mandate a tutti. Poco importa se riguardano solo alcuni insegnanti. Il risultato è che, non potendo leggere una valanga di mail quotidianamente, di cui solo una minima parte ti riguarda in prima persona, finisci per non aprire più nulla, rischiando così di perdere comunicazioni davvero importanti. Oppure l’utilizzo del registro elettronico: che splendida novità! Solo che nessuno sa davvero quanto tempo fa perdere per problemi di connessione o pesantezza del sistema. Inoltre il docente deve svolgere quelle operazioni specifiche, non contemplate dal programma: segna il ritardo dello studente, lo studente non ha il badge, lo studente ha timbrato il badge ma non è presente in classe…..gli esempi di vita scolastica quotidiana non si contano. Potrei proseguire per ore. Quanto tempo si perde? Paradossalmente era molto più veloce con il registro cartaceo.Siamo obbligati ad utilizzare una tecnologia che, a causa di un uso fuorviato della stessa, non è al nostro servizio, ma ci rende sicuramente suoi schiavi.
La verità è che la scuola è complicata. Un po’ perchè è stata rovinata dalla burocrazia (sia chiaro, so bene che quest’ultima è un male entro certi limiti necessario!); un po’ perchè i continui tagli alla scuola l’hanno umiliata, invecchiata, precarizzata.
In quasi due decenni di attività ho visto che le migliori esperienze si creavano quando il docente anziano incontrava professionalmente quello giovane.Il primo garantiva l’esperienza, il secondo portava la novità. L’anziano inizialmente brontolava, poi si adeguava alla nuova proposta. Il giovane smetteva i panni dello “scolaretto precisino”e adattava il suo sapere alla pratica quotidiana. Questo incontro creava e rigenerava sapere. Negli ultimi anni con il blocco del turn over nella scuola i giovani non sono proprio entrati. Le conseguenze si sono viste. Quei giovani che forse tra un anno verranno assunti (ma io ci credo poco) sono una necessità per la scuola di oggi e pure di domani. Quello che il governo spaccia per “un’assunzione di massa dei precari”è solo la regolarizzazione di lavoratori (tra l’altro obbligata dall’Europa) che già operano nella scuola impedendone il collasso. Ma sarebbero entrati comunque, proprio perchè necessari.
Veniamo infine ai contenuti,tralasciando le beghe sindacali ed altre baggianate.Una società deve chiedersi quale percorso sia ragionevole intraprendere per raggiungere un obiettivo. Quali saperi riteniamo essenziali per i nostri giovani? Quali aspetti della lingua (il mio settore) sono indispensabili -imprescindibili per formare la persona? Questa operazione non viene fatta. Anzi, ci ha provato il ministro Fioroni con gli assi culturali qualche anno fa. Era meglio se lasciava le cose come stavano, visti i risultati. Un tentativo agghiacciante di mortificazione dei saperi che ha impegnato molti tavoli di lavoro per non approdare a nulla.
A breve cambieranno la maturità, proposta nella versione con i soli commissari interni (è un bel risparmio per lo stato, ma aveva già fallito in passato) e una prova invalsi. Serviranno a sfornare giovani preparati? Temo di conoscere la risposta. E non è bella.
Caro Francesco,
grazie per il tuo interessante commento che consente ad un lettore estraneo all’ambiente didattico di calarsi con maggiore profondità sulle reali problematiche quotidiane della scuola di oggi.
Noto con piacere che c’è una certa sintonia di opinione su diversi aspetti e che il tuo contributo conferma molte delle impressioni che ho potuto trarre sia da questi due mesi di consultazione pubblica, sia dal mio, seppur limitato e saltuario, rapporto con l’attuale sistema scolastico.
La frase “Siamo obbligati ad utilizzare una tecnologia che, a causa di un uso fuorviato della stessa, non è al nostro servizio, ma ci rende sicuramente suoi schiavi” che hai brillantemente coniato è oltremodo emblematica e, come già espresso nell’articolo, rappresenta al meglio quella che è l’attuale società. Siamo schiavi della tecnologia semplicemente perché non siamo in grado di dominarla, per mille motivi: inettitudine, impreparazione, inconsapevolezza, incapacità di cavalcare i cambiamenti epocali, ecc.
Gli alibi da vantare sono esigui. Giusto per citare uno degli esempi che hai riportato, l’invenzione della posta elettronica risale al lontano 1971 e la sua diffusione di massa in Italia è iniziata nei primi anni ’90, ciò significa che abbiamo avuto oltre vent’anni (un’era, in ambito tecnologico) per poterne imparare un uso corretto, proficuo ed efficace. Il fatto che ancora oggi la netiquette (anch’essa risalente ai primi anni ’90) venga costantemente ignorata e violata nei processi di comunicazione, la dice lunga sul nostro stato di preparazione all’uso delle moderne tecnologie digitali.
Ecco perché, non solo sul tema scuola ma anche in ambito aziendale, io pongo spesso l’accento su educazione, formazione e aumento della consapevolezza, perché sono proprio questi tre aspetti la vera chiave del problema, ovvero ciò che ti consente di dominare la tecnologia senza subirla.
Se oggi, come tu affermi, viene a mancare quel ricambio generazionale che innescava il virtuoso meccanismo di scambio esperienze-novità e se il governo centrale non svolge né rivendica la propria funzione di guida, allora come potremo uscirne?
Io ho scelto da circa un anno di impegnarmi volontariamente per offrire alle scuole del territorio tutta l’educazione, la formazione e la consapevolezza che posso ragionevolmente apportare in base ai miei studi e alla mia esperienza, ma a ben guardare, tutto ciò rischia di essere una goccia d’acqua nell’oceano.
Abbiamo superato 1 milione di accessi al sito labuonascuola.gov.it. I partecipanti online sono al momento oltre 170.000, sono stati segnalati oltre 1600 dibattiti organizzati in tutto il Paese, e la piattaforma raccoglie ora circa 3000 proposte, 14.000 commenti e oltre 90.000 voti nelle stanze pubbliche della sezione “Costruiamo insieme la Buona Scuola”. Domani 15/11 è l’ultimo giorno di consultazione, poi la partecipazione al questionario sarà congelata: tutte le risposte arrivate fino ad allora saranno acquisite dal sistema e analizzate. Per alcuni giorni sarà possibile restituire i risultati dei dibattiti e inviare i position papers, frutto delle discussioni sul territorio avvenute durante il periodo della consultazione. L’area del dibattito online rimarrà aperta, con degli adeguamenti che presto saranno annunciati.
SAVE THE DATE: il 15 dicembre il @MIUR presenterà i risultati della consultazione pubblica sul rapporto “La Buona Scuola”