La smaterializzazione delle aziende in numeri ha comportato l’astrazione dell’individuo. Non è un caso che sempre meno persone trovino una qualche soddisfazione nell’esperienza lavorativa, inscindibile dalla vita privata. Le aziende non sono contenitori di risorse, ma insiemi di persone, che vanno valorizzate per portare valore all’azienda e alla società.
Il linguaggio aziendale è sempre più lontano dal concetto di essere umano e di persona. Me ne rendo sempre più conto leggendo white paper e documenti oppure assistendo a presentazioni ed eventi, sia in ambito lavorativo che nel settore professionale in genere.
Si parla troppo spesso di risorse, non di persone.
Si ragiona troppo spesso con i soli numeri mentre, con le decisioni prese in base a freddi calcoli, si incide di fatto sulla vita delle persone, ognuna delle quali con le proprie aspirazioni e speranze, ma anche con i propri problemi, quelli di tutti i giorni, quelli che spesso rendono difficile anche la vita lavorativa, magari già complicata da delusioni, aspettative insoddisfatte, ingiustizie e subdoli sfruttamenti.
Così come ognuno di noi porta il proprio lavoro a casa, quantomeno in termini di pensieri, progetti, idee, frustrazioni e stress, così la nostra vita personale non rimane fuori dall’ufficio, dallo sportello, dalla fabbrica. Semplicemente non può. Siamo persone, con i nostri pregi e difetti che ci rendono unici, con debolezze ma anche con molti punti di forza che troppo spesso però trovano realizzazione fuori dall’ambiente lavorativo, attraverso altre attività ed altri interessi.
Una domanda che mi sono posto nei giorni scorsi è
“come mai sono così rari coloro che ottengono una soddisfacente realizzazione sul lavoro?”
Qualcuno potrebbe dire che è colpa della crisi, ma se guardiamo indietro di qualche anno, quando la crisi ancora non c’era, questa tesi si smonta da sola. Personalmente sono convinto che l’ambiente lavorativo non si sottrae alle leggi che governano la società, anzi, troppo spesso ne rappresenta il lato peggiore: prevaricazione, arroganza, disinteresse, maleducazione, mancanza di rispetto, soprusi, contrasti e ricatto psicologico sono solo alcuni degli aspetti cui è possibile assistere e che talvolta ci si ritrova a subire in prima persona.
Sul posto di lavoro si trascorrono diverse ore alla settimana, una parte non certo trascurabile della nostra vita. Per molti di noi è un tempo nettamente superiore a quello che passiamo a casa nostra. È inevitabile, quindi, che la vita personale e quella lavorativa siano fuse insieme e sommino le frustrazioni, le delusioni e i disagi dell’una con quelli dell’altra, semplicemente perché entrambe ci appartengono. Questo è uno degli aspetti che ci rende persone e non esecutori inanimati o semplici risorse aziendali come una scrivania o un computer.
Ogni azienda (o organizzazione in genere) è fatta di persone, ognuna col proprio bagaglio personale inscindibile che non va assolutamente ignorato. Non tutti ambiscono a diventare presidenti, amministratori delegati o general manager: per molti la soddisfazione si limita al poter svolgere un compito consono con le proprie capacità, ad essere valorizzati per il lavoro svolto, le competenze maturate e i risultati conseguiti, ad ottenere ogni tanto la giuste remunerazioni, anche solo al potersi sentire in qualche modo “importanti” per la propria azienda. Molti possono vantare serietà, esperienza, preparazione, capacità e professionalità, tanti offrono disponibilità e idee alla causa aziendale, eppure pochi riescono a trovare la giusta realizzazione.
Non è un caso.
Da quando abbiamo iniziato a smaterializzare le aziende, privandole della loro connotazione di insiemi di persone, abbiamo contestualmente iniziato ad astrarre la persona, ignorando il suo pregresso, tentando di forzare la scissione della vita personale da quella lavorativa e mettendo in primo piano le esigenze di lavoro rispetto ai sentimenti del singolo. Non solo, abbiamo creato sempre più barriere fra persone ed aziende, barriere costituite da servizi di call center automatizzati o esternalizzati, da regole di comportamento vessatorie e fortemente limitative dell’identità personale e della libertà, da sistemi di valutazione impersonali e schematizzati che appiattiscono del tutto le meravigliose peculiarità che caratterizzano ciascun individuo.
Il risultato è che oggi le persone sono diventate risorse, asset aziendali, schede incomplete di un sistema HR o, peggio, semplici numeri da elaborare, mentre i reparti delle risorse umane gestiscono il personale con il pallottoliere senza porvi il dovuto interesse. Ma non è più tollerabile ignorare che le aziende sono fatte di persone, ognuna nella propria interezza, con tutto ciò che esse portano con sé. I disagi che le persone sperimentano, oltre ad influenzarne negativamente la vita privata, minano inevitabilmente la loro vita lavorativa, il rendimento e la soddisfazione sul lavoro. Ciò ha dirette conseguenze sulle sorti, sull’efficienza e sui risultati dell’azienda, proprio perché è l’insieme delle persone a determinarli.
È giunta l’ora di tornare a parlare di persone, di ascoltarne i disagi e le aspettative, di coglierne le idee e di valorizzarne le caratteristiche e le capacità. Meglio ancora, è ora di insegnare alle persone a compartecipare, a crescere insieme agli altri, accettandone le differenze e compensandone i difetti con i propri pregi. Migliorare l’esperienza lavorativa è una precisa responsabilità di tutti, non solo del responsabile delle risorse umane. Onestà, rispetto, ascolto e partecipazione sono elementi imprescindibili di una qualsiasi organizzazione di persone che possa realmente funzionare ed elargire soddisfazione a tutti gli appartenenti.
Chi ha la responsabilità di gestire un’azienda non deve mai dimenticare che ha anche la grande responsabilità del sostentamento e del benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Non solo, deve tenere sempre ben presente che il conseguimento degli obiettivi prefissati e l’ottenimento dei risultati voluti sono realizzabili solo attraverso le persone che vi lavorano, e che maggiore sarà il grado di soddisfazione dei singoli individui, migliori saranno i risultati dell’azienda.
Studi specifici sul tema confermano che la soddisfazione lavorativa aumenta la motivazione dei dipendenti, genera comportamenti di cittadinanza organizzativa e partecipazione, riduce l’assenteismo, lo stress percepito e i pensieri di abbandono del lavoro, infine aumenta la performance lavorativa. Esiste quindi una forte relazione fra la soddisfazione e la performance lavorativa. Gli stessi studi confermano che ciò che viene vissuto nell’ambiente lavorativo compensa ciò che è esterno ad esso (compensation), mentre ciò che accade in un ambiente si riversa nell’altro (spillover).
Ci sono aziende che l’hanno capito e che hanno scelto di puntare su attività interessanti, stimolanti, convincenti e gratificanti, sulla flessibilità, il giusto equilibrio fra lavoro e vita privata, sull’assistenza, la cura e i servizi a beneficio dei dipendenti, sulla ricerca e l’elogio di valori come la diversità e l’unicità, sulle opportunità di crescita, di formazione e di apprendimento personale, sull’innovazione e sul rinnovamento delle strutture, su ambienti puliti e confortevoli, sull’atmosfera lavorativa. Sono aziende come Google, Facebook, Twitter, Linkedin, Bain & Company, Qualcomm, Gartner e Red Hat, caratterizzate da una valida leadership, un forte interesse della direzione per i dipendenti e una forte cultura aziendale fatta di rispetto, umiltà, apprezzamento del buon lavoro altrui, orientamento al lavoro in collaborazione e una certa dose di lungimiranza che genera nei dipendenti l’importante sensazione di lavorare per obiettivi condivisi e condivisibili.
La soddisfazione del personale è un fattore fondamentale per la salute dell’azienda, così come l’esperienza lavorativa è un fattore altrettanto fondamentale per la salute psicofisica del dipendente e della società. Un individuo in piena salute psicofisica, soprattutto se soddisfatto, rende migliore la società, ecco perché è importante valorizzare le persone per portare valore alle aziende e alla collettività.
Ignorare tutto questo significa essere destinati a fallire miseramente, come aziende e come persone.
Ettore Guarnaccia
Ti invito a focalizzare l’attenzione su quanto e come la tua esperienza lavorativa possa consentirti di soddisfare le tue aspirazioni, valorizzare le tue idee e capacità, renderti felici di varcare quella fatidica soglia tutti i giorni lavorativi. Ti chiedo anche di pensare a chi o cosa potrebbe generare un reale cambiamento positivo nell’esperienza lavorativa di tutti noi. Attendo con curiosità il tuo prezioso commento, grazie.