Combattere una guerra contro i social media è anacronistico, oltre che oneroso e improduttivo per le aziende, che potrebbero perdere notevoli opportunità di business. Meglio regolamentarne l’uso, prendere le dovute precauzioni di salvaguardia del business aziendale e investire in formazione, educazione ed aumento della consapevolezza del personale.
I social media sono ormai una realtà radicata per la società moderna: sono pochissimi i giovani dai 13 anni in su (purtroppo spesso anche di età inferiore) a non possedere un profilo su almeno una piattaforma social, se non per svago quantomeno per pubblicare il proprio curriculum vitae e sperare di trovare un lavoro (ad esempio su Linkedin) visti i crescenti tassi di disoccupazione in Italia. Ormai è facilmente ipotizzabile che entro i prossimi due cambi generazionali si potrà raggiungere una percentuale di iscritti ai social media molto prossima al 100%.
Sebbene molti facciano ancora fatica a comprenderlo, i social media possono essere un’incredibile risorsa per le aziende, ad esempio per scovare nuove idee, connettersi e restare in contatto con i clienti, massimizzare la propria esposizione, costruire l’immagine del proprio marchio, ottenere un feedback pressoché continuo sul gradimento e sulla fidelizzazione e ottenere informazioni in tempo reale.
Come accade anche nella vita privata, però, una scarsa consapevolezza sull’uso corretto dei social media, il mancato riconoscimento dei rischi e l’assenza di adeguata regolamentazione può essere dannoso o addirittura catastrofico per un’azienda che vi faccia ricorso senza prendere le dovute precauzioni. Video virali non autorizzati, tweet negativi, foto non autorizzate caricate su Instagram, profili fraudolenti e sproloqui di dipendenti su Facebook sono tutte azioni, giustificate o meno, che possono impattare decisamente sul business aziendale.
Appare quindi chiaro quanto sia vitale per le aziende stabilire politiche di accesso ed utilizzo dei social media che siano opportunamente confezionate per ridurre al minimo i rischi e massimizzare gli innegabili benefici di queste moderne piattaforme di intercomunicazione online.
In questo articolo riporto alcuni importanti aspetti da considerare, aspettando dal lettore eventuali interessanti integrazioni.
Consapevolezza
Cosa si dovrebbe o non di dovrebbe pubblicare online può sembrare direttamente collegato al comune buon senso, eppure moltissime persone non si rendono minimamente conto delle possibili ripercussioni di ciò che pubblicano sui social media. Si può facilmente immaginare cosa accada quando un dipendente diffama pubblicamente la propria azienda o i suoi diretti superiori, evenienza sempre più probabile visto il generale stato di precarietà, insoddisfazione, risentimento e ricatto psicologico che pervade il mercato in lungo e in largo.
Intendiamoci, anche i casi apparentemente più innocui possono trasformarsi in eventi estremi. Come nel caso accaduto nell’aprile scorso, quando una quattordicenne olandese ha twittato all’account di American Airlines una falsa minaccia terroristica che ha innescato un’enorme copertura mediatica a livello internazionale e condotto infine all’arresto dell’autrice.
Uno degli aspetti chiave da tenere sempre in considerazione è che ciò che viene pubblicato online può avere conseguenze molto disastrose nel mondo reale: può offendere, diffamare, ferire i sentimenti altrui, allarmare e mettere a rischio qualcuno.
Oltretutto, bisogna ricordare che ciò che si pubblica online è per sempre: ogni post, ogni tweet, ogni oggetto multimediale pubblicato, tutto viene inesorabilmente archiviato, salvato, condiviso e diffuso con una velocità ed efficienza tali da renderne pressoché impossibile la rimozione definitiva e da salvaguardarne la disponibilità in vari formati e su differenti canali praticamente per sempre.
Attualmente esiste una zona grigia fra la libertà di parola online e la legislazione italiana, ma molti degli effetti di ciò che si svolge online possono essere interpretati in termini di legge ed essere perseguiti. Oggi molti reati di pedofilia, pedopornografia, bullismo, adescamento, diffamazione, violenza e stalking hanno origine nel mondo virtuale di Internet ma vengono puniti con pene reali.
Le aziende non possono e non devono quindi esimersi dall’assicurarsi che i propri dipendenti siano perfettamente consapevoli delle conseguenze delle loro azioni ed invettive sui social media.
Ancora una volta la consapevolezza del personale assume il ruolo di elemento chiave per la salvaguardia del business aziendale, non mi stancherò mai di evidenziarlo. Quand’è che ci decideremo a rendere l’azienda un posto di apprendimento e crescita individuale in tutti i sensi, invece che luogo di appiattimento della cultura?
Regolamentazione
Innanzitutto va chiarito che non è possibile limitare ciò che i dipendenti fanno o pubblicano online nel loro tempo libero, fuori dalle mura aziendali. Prima di stabilire politiche di uso dei social media è indispensabile valutare con estrema attenzione i limiti che il datore di lavoro deve rispettare in tema di accesso agli account e alle azioni dei dipendenti sui social media.
In più nazioni, infatti, l’apparato giudiziario sancisce e tutela il diritto di ciascun dipendente di esprimere opinioni sul proprio lavoro attraverso i social media (o Internet in senso più ampio), tanto che non è ammesso il licenziamento di un dipendente in casi del genere (ma ci sarebbe molto da disquisire su questo ambito, ad esempio sull’eventuale rottura del rapporto di fiducia fra datore di lavoro e dipendente).
Negare completamente l’accesso ai social media sul posto di lavoro è una soluzione da medioevo, per vari motivi. Innanzitutto perché oggi molte informazioni di alto valore professionale e lavorativo, sebbene ospitate su blog e siti web, vengono in realtà diffuse e veicolate attraverso i social media stessi, pertanto bloccarne l’uso significa negare all’azienda l’accesso ad informazioni utili in tempo reale, magari prima della concorrenza. La produttività promessa dalla crescente diffusione di smartphone e tablet aziendali, poi, verrebbe seriamente compromessa dall’impossibilità di utilizzarne al 100% le potenzialità in ambito social. Infine, l’ampia diffusione di dispositivi digitali personali, che entrano regolarmente in azienda con libero accesso ai social media e che spesso interagiscono addirittura con la rete aziendale senza particolari controlli, rende del tutto inutile qualsiasi misura di limitazione.
Piuttosto è opportuno prendere in considerazione l’emissione di politiche che proteggano l’azienda dall’essere ritenuta in qualche modo responsabile per ciò che i propri dipendenti pubblicano sui propri account personali, ad esempio prevedendo l’integrazione di apposite clausole di limitazione della responsabilità nei contratti di lavoro, in particolare per esternazioni discriminatorie di tipo politico, religioso o sessuale.
Le politiche, ad esempio, dovrebbero consentire ai dipendenti di dichiarare la propria appartenenza all’azienda, ma chiarendo bene che ciò che essi scelgono di dichiarare o pubblicare online rappresenta puramente il loro personale parere e che sono esclusivamente responsabili dei loro post e delle loro azioni online.
In linea generale, è mia convinzione (non solo in questo settore) che la vera crescita individuale non si ottiene negando l’accesso o limitando qualcosa, bensì definendo regole chiare, semplici e condivise sulle migliori modalità di utilizzo, che forniscano la necessaria guida e supportino nella consapevolezza, non solo sul posto di lavoro.
Riservatezza e privacy
Le politiche di uso corretto dei social media dovrebbero coprire anche la riservatezza delle informazioni aziendali critiche o classificate. Se i dipendenti possono avere il diritto di pubblicare opinioni sull’azienda, non possono in alcun modo arrogarsi il diritto di divulgare informazioni riservate dell’azienda e delle terze parti collegate (clienti, fornitori, partner, ecc.) senza le dovute autorizzazioni preventive.
Un buon metodo è quello di esplicitare chiaramente nelle politiche quali siano le tipologie di argomenti e di informazioni la cui divulgazione è strettamente limitata o vietata, ad esempio in tema di proprietà intellettuale, informazioni finanziarie interne, informazioni private di persone fisiche o qualsiasi altra informazione che possa violare le politiche aziendali di sicurezza o la privacy individuale.
Più la nostra società diviene connessa, più dobbiamo essere consapevoli di ciò che viene condiviso e delle sue ripercussioni. Un’efficace politica di uso corretto dei social media è di vitale importanza per qualsiasi azienda che vuole sopravvivere al meglio nel terzo millennio. Filtrare o vietare l’accesso ai social media e impedirne l’uso per finalità di business significa ignorare moltissime splendide opportunità di business, di relazione con la clientela e di mantenimento e miglioramento dell’immagine aziendale, fornendo al pubblico quella sensazione di avere davanti un’azienda moderna, dinamica ed efficiente che fa la differenza.
Anche qui la parola chiave è consapevolezza.
Guarda caso.
Ettore Guarnaccia