Le esperienze che ho maturato nell’educazione dei minori sulla sicurezza online sono confermate dal più recente studio pubblicato in materia da Save the Children. Ne emerge il quadro di una generazione, quella dei nativi digitali, che per prima si trova a fronteggiare minacce e rischi sconosciuti in passato e tuttora compresi poco e male. Genitori e insegnanti hanno la responsabilità di tenersi al passo coi tempi se vogliono proteggere i propri ragazzi, possibilmente iniziando da tre semplici regole di base.
Grazie all’esperienza finora maturata nell’educazione dei minori sulla sicurezza online, ho potuto riscontrare in loro un’ampia conoscenza delle tematiche trattate e dei principali mezzi di interazione sociale oggi esistenti, sebbene ad un livello ancora troppo superficiale per comprenderne appieno i meccanismi e i relativi potenziali effetti.
A partire dagli undici anni, ovvero già dalla prima media, pressoché tutti dispongono di uno smartphone personale, che si affianca ai numerosi gadget tecnologici che hanno a disposizione nell’ambiente domestico. In costante aumento, la diffusione di dispositivi digitali personali in età inferiori, con smartphone che fanno la loro comparsa nelle mani dei bambini già in quarta e quinta elementare. Un fenomeno che mi ha molto colpito è la loro reazione alla prospettiva di privarsi per un tempo prolungato del proprio smartphone, con evidenti sintomi di ansia, agitazione e piccole forme di isterismo.
Sempre a partire dalla prima media, pressoché tutti hanno un proprio profilo personale su almeno una piattaforma social, con una forte predilezione per Facebook, YouTube, Whatsapp e Instagram rispetto alle altre. Tenendo conto che l’età minima per accedere a Facebook, Instagram e a qualsiasi account Google è pari a 13 anni (ad eccezione di Spagna e Corea del Sud per i quali è di 14 anni e dell’Olanda dove è fissata a 16 anni), dalla quarta elementare alla seconda media pressoché tutti mentono sulla propria età pur di iscriversi, spesso con la colpevole complicità dei genitori. A questo si aggiunge una generale disinvoltura nel richiedere e concedere amicizie a persone sconosciute nel mondo reale, fino a raggiungere, in diversi casi, un numero notevole di contatti esclusivamente virtuali.
La loro innata abilità nel destreggiarsi con i più moderni dispositivi digitali induce troppo spesso genitori e docenti a riconoscere loro una consapevolezza di cui in realtà non dispongono. Le funzionalità che utilizzano per navigare e comunicare sono più o meno le stesse per la stragrande maggioranza di loro, e sono pochissimi coloro che approfondiscono il reale funzionamento dei vari meccanismi. Funzioni come la geolocalizzazione e i relativi effetti, ad esempio, sono un mistero per molti di loro, così come molti comportamenti potenzialmente rischiosi che danneggiano irrimediabilmente la loro immagine o che spalancano le porte a tentativi di adescamento, frodi e altri eventi dannosi.
Un problema che riguarda anche e soprattutto gli adulti, con genitori e docenti che non riescono a mantenersi efficacemente al passo con le evoluzioni tecnologiche e gli emergenti trend digitali che i minori fanno propri in un tempo sempre più ridotto. Adulti e minori viaggiano su due binari separati e con velocità sensibilmente differenti, divisi da un insieme di fattori che minano alla base la condivisione e la partecipazione, elementi che dovrebbero invece contraddistinguere qualsiasi rapporto genitore-figlio o docente-alunno.
Il Safer Internet Day Study 2015 di Save the Children
A confermare ed integrare le mie rilevazioni, giunge ora il rapporto “Safer Internet Day Study 2015 – I nativi digitali conoscono veramente il loro ambiente?” che illustra gli interessanti risultati di una ricerca svolta a gennaio 2015 da IPSOS per Save the Children su un campione di oltre 1.000 ragazzi di età compresa fra 11 e 17 anni. Non un campione granché significativo, ma sufficiente a dare un’ulteriore visione del rapporto dei minori italiani con le moderne tecnologie digitali. Nell’esposizione che segue tralascio volutamente, in quanto non direttamente attinente, il pur interessante tema del digital divide che tuttora affligge mezzo milione di adolescenti italiani, che non hanno mai avuto accesso ad Internet.
Il rapporto descrive una generazione always on che vive in simbiosi con il proprio smartphone (ad eccezione dei più piccoli) e che ragiona in ottica sempre più mobile. Ben il 90% del campione possiede uno smartphone personale e il 71% ha un proprio tablet. Cosa ci fanno? Il 93% chatta con gli amici, il 65% aggiorna la propria pagina Facebook, il 59% legge qualcosa sui blog, il 57% pubblica le proprie foto online (Facebook e Instagram soprattutto), il 48% si lancia nella pubblicazione di video, il 40% twitta e il 38% scrive nel proprio blog personale.
L’età media (e sottolineo media) in cui entrano in possesso di uno smartphone personale è di circa 12 anni e la maggior parte di loro impara ad usarlo in autonomia o con sporadici suggerimenti degli amici. A dispetto della Direttiva Fioroni, a scuola ben 4 studenti su 10 hanno la libertà di tenere acceso e con sé lo smartphone durante le lezioni, perché i professori lo consentono (15%) o perché non ci sono controlli (26%), mentre a qualcuno (2%) è addirittura concesso di utilizzarlo.
In termini di comportamenti rischiosi, il 57% non si preoccupa di gestire la propria privacy, il 52% chatta con perfetti sconosciuti, il 41% mantiene relazioni con amicizie virtuali, il 39% fornisce il proprio numero telefonico a contatti sconosciuti, il 35% si dà appuntamento con qualcuno conosciuto solo attraverso i gruppi di discussione Whatsapp (1 su 2 scopre poi che la persona incontrata non era ciò che diceva di essere) e il 24% invia messaggi, foto o video con riferimenti sessuali a gruppi di discussione di cui non conosce tutti i partecipanti. In generale, le ragazze sono più prudenti e responsabili rispetto ai maschietti.
In tema di social, il rapporto conferma che pressoché tutti gli intervistati hanno almeno un profilo social, con il 39% che si è iscritto a Facebook a 11-12 anni, il 32% che nell’iscriversi ha dichiarato un’età pari o superiore a 18 anni (con il rischio di esporsi a contenuti fortemente inadatti alla propria età reale) e il 36% che non ha mai impostato alcuna restrizione a protezione della privacy nel proprio profilo. Il 57% dei minori, inoltre, accetta passivamente le condizioni d’uso per l’iscrizione ai social senza nemmeno leggerle.
Cosa fanno sui social? Il 75% usa Facebook, il 59% chatta con Whatsapp, il 36% pubblica contenuti su Instagram, il 29% twitta su Twitter, l’11% ascolta musica su Spotify. L’uso di Whatsapp è generalmente alquanto rischioso: ben il 28% dei ragazzi partecipa a più di 10 gruppi di discussione (il 7% appartiene a oltre 25 gruppi), mentre nel 41% dei casi non ne conosce personalmente tutti i partecipanti e il 20% non ha alcuna remora nel condividervi foto o dati personali. Il 19% non considera un problema l’invio di foto e filmati personali a dir poco imbarazzanti ad adulti in cambio di regali come ricariche telefoniche o gadget tecnologici.
Due su tre non sanno che su Whatsapp non esiste (al momento in cui scrivo) la possibilità di bloccare qualcuno che infastidisce o molesta, perciò una volta che il proprio numero telefonico è stato divulgato il danno è irreparabile. 4 minori su 10 hanno la geolocalizzazione sempre attiva, mentre 1 su 10 non ha la minima idea di che cosa sia e, di conseguenza, quali rischi comporti. Uno su due non è nemmeno in grado di spiegare la fondamentale differenza fra Internet e Web a più di vent’anni dalla loro nascita.
I rischi più percepiti dagli intervistati sono il bullismo (64%) e il cyberbullismo (38%), la droga (46%), le molestie (38%, 36% se da adulti) o le malattie trasmissibili (21%, soprattutto fra i più grandi). Uno su dieci dichiara di aver subito atti di cyberbullismo (9%) e uno su tre denuncia la ricorrenza di atti analoghi nei confronti di amici e conoscenti, atti che avvengono soprattutto attraverso le chat o i commenti sui social. Eppure circa l’85% delle vittime di cyberbullismo non denunciano le persecuzioni subite ai genitori, ai docenti o alle forze dell’ordine, il 38% non considera le molestie via cellulare, email o Internet come una minaccia e il 59% non sa nemmeno come segnalare eventuali abusi nei social.
A completare la fotografia, il diffuso timore dell’isolamento (36%), dei disturbi alimentari (anoressia e bulimia, 27%) e dell’assenza di relazioni significative (25%), a dimostrazione che neanche questa generazione di nativi digitali può sottrarsi a specifici disagi, spesso derivanti proprio dall’eccessivo disequilibrio fra relazioni reali e virtuali. Gli adolescenti, infatti, risultano lasciati sempre più spesso da soli davanti ai social, senza alcuna formazione né educazione in merito: questo non fa che renderli indifesi e impreparati a gestire adeguatamente relazioni virtuali che possono facilmente portarli a vivere situazioni alquanto spiacevoli e turbative.
Regolamentare, colmare i vuoti e fornire i giusti strumenti
Il senso di solitudine e l’impreparazione di molti minorenni, uniti alla falsificazione di età e profili, li espongono inevitabilmente ad una serie di eventi turbativi ed estremamente imbarazzanti che, nei casi più gravi, possono addirittura condurli ad atti estremi come il suicidio. Non condivido assolutamente l’approccio terroristico di molti educatori su questi temi, né voglio esasperarne i toni, ma non si può ignorare che questa generazione di nativi digitali sta di fatto sperimentando situazioni del tutto nuove ed inesplorate, i cui effetti nel lungo termine non sono affatto prevedibili con sufficiente certezza.
La tecnologia spinge e accelera sempre più, i minori si accodano e seguono con apparente disinvoltura il flusso delle innovazioni, mentre gli adulti arrancano accumulando sempre maggiore ritardo e i malintenzionati adattano costantemente le proprie strategie di offesa. In questo panorama in costante evoluzione diventa ogni giorno più urgente dotare i nostri figli dei giusti strumenti di rilevazione e difesa che, soprattutto nelle varie situazioni di solitudine che essi si ritrovano a vivere, consentano loro di proteggersi in qualche modo da minacce e rischi.
Il termine grooming significa “curare la persona” ed è generalmente riferito all’atto dell’adescamento online perché i malintenzionati vanno a colmare i vuoti (soprattutto affettivi) che i ragazzi si portano dietro, in particolare la carenza di autostima, il desiderio di apparire e il bisogno di attenzione. Se gravi fenomeni sociali come l’adescamento online, la cyber pedofilia, il cyberbullismo e la dipendenza da Internet, che fino a pochi anni fa non esistevano, oggi trovano terreno fertile, la causa è rappresentata proprio dai vuoti lasciati nei ragazzi da un ambiente famigliare e sociale sempre più indirizzato verso la virtualità e la superficialità delle relazioni.
Mentire sull’età e sugli altri dati del profilo può comportare l’aggiramento dei meccanismi di protezione dei minori attuati sulle piattaforme social e di comunicazione, esponendoli a contenuti potenzialmente non adatti alla loro età e, quindi, turbativi della loro integrità. Se un limite d’età è stato universalmente fissato per l’iscrizione alle piattaforme social, un motivo c’è ed è legato al fatto che, al di sotto dei 13 anni, la capacità di discernimento dei ragazzi non è adeguata a riconoscere potenziali minacce per la loro integrità e incolumità, né a contrastarle efficacemente.
I casi che giungono ad una denuncia sono ancora troppo pochi e ciò consente a moltissimi malintenzionati di continuare a colpire altre potenziali vittime in futuro. È fondamentale sapere, quindi, che tutte le forme di violazione e abuso attraverso Internet sono ben regolamentate nell’ordinamento civile e penale italiano e comportano pene ben precise, ecco perché invito sempre i ragazzi a segnalare a genitori e insegnanti qualsiasi evento negativo e a questi ultimi di rivolgersi con fiducia alla Polizia Postale e delle Comunicazioni per qualsiasi evenienza.
Concludo quindi con tre misure basilari che costituiscono la base di un’efficace difesa per qualsiasi minorenne contro le minacce online. La prima è regolamentare l’uso dei dispositivi digitali, sia in casa a cura dei genitori, sia a scuola a cura di dirigenti e docenti: dare ai ragazzi delle regole chiare, precise e rispettate consente loro di tracciare mentalmente delle linee rosse immaginarie che, se e quando oltrepassate, fanno alzare in loro la soglia d’allarme.
La seconda è colmare i vuoti: genitori, famigliari e insegnanti devono prestare la massima attenzione ai bisogni dei ragazzi in termini di attenzione, stima e affetto, alle carenza di autostima, socialità e fiducia in sé stessi e negli altri, ai loro desideri inespressi. Sono proprio questi vuoti ad essere sfruttati dai malintenzionati per scardinare le difese dei ragazzi e fare breccia nel loro cerchio di fiducia.
La terza è fornire ai ragazzi tutti i possibili strumenti atti a prevenire, riconoscere e contrastare qualsiasi tentativo di inganno, adescamento, violenza e abuso. La maggior parte dei genitori e degli insegnanti non sono purtroppo pienamente in possesso di questi strumenti e non possono quindi trasferirli. Possono però rivolgersi a professionisti preparati su tematiche di sicurezza online per i minori e, attraverso questi, informarsi, prendere coscienza delle minacce, dei rischi e delle migliori contromisure da adottare per prevenire spiacevoli eventi a danno dei propri figli e alunni. Cercando il più possibile di tenere il passo.
Ettore Guarnaccia