Una nuova generazione si fa strada: è quella “always on” dei cosiddetti “nativi digitali”. È differente rispetto alle precedenti, dispone di nuove competenze, nuove abilità e nuovi modelli cognitivi. Il sistema educativo, ormai obsoleto e in crisi, non risponde più adeguatamente alla nuova domanda, mentre molti adulti considerano negativamente l’evoluzione della nuova generazione. Eppure anch’essi sono stati nativi di qualcosa e hanno imparato a convivervi, solo che se ne sono dimenticati. Oggi immigrati e tardivi devono imparare a cavalcare lo tsunami digitale, se vogliono ridurre il gap generazionale con i nativi digitali.
Sull’onda degli eventi che ho recentemente condotto sul tema, ultimamente mi ritrovo spesso a parlare di sicurezza online dei minori, sia agli adulti, genitori e docenti in primis, sia ai diretti interessati. Nel trattare un argomento così vasto e complesso, però, non si possono ignorare le fondamentali differenze che esistono fra l’ultima generazione, nata in una società ipertecnologica e iperconnessa, e le generazioni precedenti.
I bambini nati alla fine degli anni novanta e, soprattutto, quelli nati nel terzo millennio vengono ormai comunemente definiti “nativi digitali” [1], poiché nati nel pieno dell’era di massimo sviluppo della tecnologia digitale e del Web 2.0. Una generazione definita anche “Always On”, sempre connessa, poiché quasi ininterrottamente in possesso di dispositivi digitali connessi ad Internet e in costante comunicazione con amici reali e contatti virtuali.
Ad essa si contrappongono le precedenti generazioni degli “immigrati digitali” (chi oggi ha un’età compresa fra 30 e 55 anni) e dei “tardivi digitali” (55-80 anni), nelle quali è ricompresa la maggior parte dei genitori e dei docenti dei nativi digitali, che non hanno ancora maturato un sufficiente livello di comprensione delle peculiarità e del differente modo di pensare dei più giovani.
Nuovi modelli cognitivi e nuove abilità
Diversi studi di neurobiologia, psicologia sociale e didattica dimostrano come non vi sia più alcun dubbio sul fatto che la nuova generazione always on sia contraddistinta da una nuova singolarità, che la rende nettamente differente rispetto alle precedenti.
L’essere nati in piena era digitale li rende di fatto madrelingua nell’uso delle moderne tecnologie, con le quali interagiscono dimostrando innata agilità e senza alcun tipo di disagio. Durante l’uso del computer o dei dispositivi digitali, infatti, i nativi usano differenti parti del cervello rispetto agli adulti immigrati o tardivi, perché la tecnologia fa parte della loro esistenza fin dall’inizio.
Tutte queste continue e ripetute stimolazioni ed iperstimolazioni digitali hanno cambiato la struttura del cervello dei nativi digitali, in virtù della neuroplasticità [2], la capacità del cervello di riorganizzarsi costantemente e di cambiare in base agli input che riceve. Stimolazioni ed esperienze diverse portano a strutture cerebrali differenti, quindi a nuovi modelli cognitivi. È dimostrato, infatti, come persone cresciute in diverse culture pensino in maniera completamente differente fra loro.
L’esposizione ripetitiva e prolungata alle tecnologie digitali ha provocato nei nativi molte differenze rispetto alle generazioni precedenti. Essi, infatti, prediligono la grafica rispetto al testo, adottano un approccio random simile all’ipertesto, apprezzano più i giochi che l’impegno serio, apprendono con successo da social media, TV, musica e divertimento, bramano l’interattività e vogliono una risposta immediata alle loro azioni.
I nativi hanno indubbiamente una particolare competenza rappresentativa, abilità multidimensionali visuo-spaziali, una risposta più rapida a stimoli attesi ed inattesi. Hanno una maggiore capacità di osservazione e formulazione di ipotesi per capire le regole di una rappresentazione dinamica (scoperta induttiva), riescono a fare più cose contemporaneamente in modalità multitasking (distribuzione attenzionale) e riescono più facilmente ad immaginare un qualcosa senza doverlo sperimentare in pratica.
L’era ipertecnologica in cui sono venuti al mondo ha plasmato nei nativi un nuovo modo di apprendere, conoscere e comunicare, in cui il virtuale è analogo al reale, la loro identità è costruita attraverso i social media e le tecnologie sono un’estensione della loro sfera sociale.
L’obsolescenza del sistema educativo contemporaneo
Il sistema scolastico del mondo occidentale sta vivendo un periodo di profonda crisi, che non è semplicemente legato alle difficoltà economiche dei governi vessati dalla sottrazione della sovranità monetaria, in particolare nelle nazioni europee. La crisi è anche un declino, inevitabile e prevedibile, di un sistema educativo da tempo obsoleto, che non ha tenuto conto delle profonde modificazioni neurologiche, cognitive ed attitudinali della nuova generazione.
L’insegnamento contemporaneo, fatto di concetti in sequenza, proposti passo dopo passo, un tema alla volta, con stile serio e impostazione tell-test (verifica post istruzione), non funziona più. I docenti lamentano una profonda carenza di interesse, tempi di attenzione piuttosto brevi e un difficile e poco spontaneo approccio alla lettura nei loro studenti, ma non hanno ancora compreso che negli ultimi 15 anni la loro audience è nettamente cambiata.
Eppure la situazione è chiarissima: gli studenti di oggi non sono più stupidi dei loro predecessori, ma sono annoiati dalla formazione attualmente proposta dal sistema educativo, quindi scelgono di non partecipare, di non prestare attenzione, semplicemente a loro non interessa affatto. Siamo all’apice dell’era tecnologico-digitale eppure il sistema educativo è ancora saldamente appoggiato ai libri di testo, anch’essi obsoleti e mal strutturati, ed a metodi di insegnamento che potevano ancora andare bene per le generazioni pregresse, ma non per quella dei nativi digitali.
A questo punto si pone una domanda: sono gli studenti a doversi adattare ai vecchi metodi di insegnamento oppure sono i docenti, quasi tutti immigrati o tardivi digitali, a dover cambiare, a comprendere la nuova generazione, ad imparare nuove modalità didattiche, a riconsiderare metodologie e contenuti, a sviluppare nuovi metodi educativi? La risposta è alquanto scontata, ma non lo è purtroppo la soluzione.
Genitori e docenti di oggi sono convinti che i bambini e i ragazzi non amino più lo studio semplicemente perché è il sistema educativo a fallire miseramente nel coinvolgerli.
Affinché il sistema educativo adotti nuovi metodi didattici, con insegnamento basato su tecniche più rapide, un accesso random e multitasking, un apprendimento digitale che combini gioco e contenuti e che preveda concetti più brevi ed un’assimilazione più rapida, servirà molto probabilmente un ricambio generazionale di non semplice né rapida realizzazione.
Le conseguenze su questa prima generazione di nativi digitali potrebbero essere devastanti, potremmo assistere a studenti tendenzialmente improduttivi nella scuola dell’obbligo e in molte università, che saranno costretti a ricorrere a sistemi di apprendimento autonomo per poter integrare le lacune che inevitabilmente il sistema educativo lascerà in loro e per restare efficacemente al passo con la rapida evoluzione tecnologica della loro era.
Software, hardware, robotica, telecomunicazioni, nanotecnologia, genomica, approssimazione numerica, statistica e pensiero binario sono solo alcuni esempi di contenuti dell’era ipertecnologica che non trovano riscontro nel sistema educativo e che sono alla base della domanda di istruzione della nuova generazione. Ma quali immigrati digitali sono disposti ad insegnarli? Quanti di essi sono di mentalità così aperta da abbracciare senza riserve nuovi metodi educativi, più dinamici, efficaci, coinvolgenti e, soprattutto, interessanti per i nativi?
Tsunami digitale: evoluzione o involuzione?
L’etica, la politica, la sociologia e le lingue sono anch’esse in costante e progressivo mutamento, eppure il sistema educativo va avanti per la sua strada come se non si fosse verificato alcun cambiamento significativo. Detto fra noi, neanche il programma “La Buona Scuola” del Governo Renzi sembra in grado di dare risposte efficaci alla domanda educativa che si è formata negli ultimi 15 anni, sia per motivi economici che lo rendono insostenibile, sia perché la sua attuazione è comunque demandata ad immigrati e tardivi digitali, perlopiù dotati di una visione superata e densa di preconcetti verso le moderne tecnologie.
A molti di noi adulti le peculiarità di questa nuova generazione appaiono negative, poiché assistiamo alla rapida evoluzione dei nativi digitali valutandola dal nostro punto di vista di immigrati e tardivi digitali. La nuova generazione ci sembra più capace di rappresentare in forma digitale le proprie emozioni che di viverle appieno come facevamo noi prima dell’avvento del digitale. Siamo indotti ad ipotizzare che questa generazione iperconnessa avrà in futuro maggiori difficoltà di comunicazione con le generazioni precedenti, proprio a causa del gap tecnologico che affligge quest’ultime e che non è facile colmare.
La verità è che non abbiamo la più pallida idea di come saranno i nativi digitali da adulti. I primi nati di questa generazione stanno per diventare maggiorenni, fra qualche anno avremo certamente maggiori elementi per valutare gli effetti della sovraesposizione digitale e dell’iperconnessione virtuale, ma oggi non abbiamo informazioni sufficienti per guadagnare una ragionevole certezza o formulare un quadro attendibile.
Possiamo affidarci benevolmente e con fiducia all’evoluzione naturale, che opera sempre per migliorare e selezionare la nostra specie, oppure abbandonarci ai funesti oracoli che predicono una generazione in preda a numerose forme di dipendenza fra esse correlate, più tecnologica ma molto meno istruita, più virtuale ma sempre meno pragmatica, più digitale ma meno emozionale.
Proviamo dapprima a ragionarci su per un attimo.
In realtà anche noi siamo stati vittime dell’inevitabile accelerazione della vita, delle relazioni, dell’informazione e della cultura introdotta dall’avvento dell’elettricità, fin dalla nascita del telegrafo. Anche le generazioni precedenti i nativi digitali hanno visto alterare i propri ritmi di vita e di apprendimento dalla rapida successione di enormi cambiamenti tecnologici, come il telefono, la radio, la televisione, i personal computer, Internet e i primi cellulari.
Noi che adesso siamo immigrati digitali, prima siamo stati nativi televisivi, mentre i nostri genitori e nonni sono stati a loro volta nativi radiofonici o telefonici. Anche noi abbiamo subìto modificazioni cerebrali e cognitive rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, siamo stati vittime di un esponenziale aumento delle informazioni e abbiamo modificato il nostro modo di vivere, di ragionare e di imparare in funzione dell’avvento di nuove tecnologie.
A modo nostro siamo stati drogati di televisione e poi drogati di computer e di cellulare. Ma non ci siamo adagiati e abbiamo maturato insieme una nuova etica, un nuovo senso critico, una nuova logica, che oggi ci portano a considerare negativamente gli effetti della tecnologia su questa nuova generazione. Siamo indotti a pensare questo perché ci siamo già passati, ne abbiamo subìto gli effetti, ne abbiamo pagato le conseguenze.
Ma ne stiamo uscendo: oggi c’è sempre meno gente che guarda la televisione, i giornali restano invenduti, i cellulari sono ormai d’uso comune ma vengono usati in maniera differente rispetto a 15 anni fa. Stiamo abbattendo lentamente tutti i dogmi che ci hanno rinchiuso per decenni, come la politica, le religioni, lo sport, la medicina, l’informazione ufficiale. Ci basiamo sempre più sulle nostre percezioni, sulle emozioni, sui sentimenti. Abbiamo imparato e miglioreremo sempre più.
Come noi prima, oggi i nativi digitali stanno vivendo la loro era, fatta di relazioni virtuali e di connessione onnipresente. Anche loro ne subiranno gli effetti e le conseguenze, per poi imparare a trarne il meglio possibile e proseguire nell’evoluzione della specie. A noi immigrati e tardivi digitali non resta che adattarci ad una profonda rivoluzione che avanza inarrestabile come l’onda di uno tsunami: inutile cercare di evitarla o di arrestarla, dobbiamo imparare al più presto a cavalcarla al meglio, prima che ci travolga, prima che il gap generazionale diventi incolmabile.
Ettore Guarnaccia
[1] Digital Natives, Digital Immigrants | Marc Prensky [PDF]
[2] Digital Natives, Digital Immigrants, Part II: Do They Really Think Differently? | Marc Prensky [PDF]
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