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La costanza di essere veri leader

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Avrai certamente già sentito il detto, che ultimamente incontro sempre più spesso sui social: «Le persone non lasciano cattivi lavori, lasciano cattivi capi». Pare, infatti, che due lavoratori su tre che hanno un “cattivo capo” affermino di essere alla ricerca di un altro lavoro, contro uno su quattro di coloro che riconoscono di avere un “buon capo”. Così come i grandi leader tirano fuori il meglio dalle persone, quelli inadeguati tirano fuori il peggio. I grandi leader cambiano le persone in meglio, promuovono l’evoluzione personale e professionale, alimentano una sana cultura aziendale, vedono nelle persone più attitudini positive che in sé stessi, hanno una visione evolutiva delle persone e sanno mostrare loro quali grandi cose possono raggiungere.

Questo è un aspetto sul quale qualsiasi azienda, di qualsiasi dimensione, dovrebbe vigilare: se un capo non agisce come un vero leader e non è in grado di tirare fuori il meglio dai collaboratori o, peggio, risulta dannoso, meglio rimpiazzarlo, perché potrebbe minare la cultura e il clima aziendale, e di conseguenza avere effetti nefasti sul business. Inoltre, potrebbe indurre i migliori talenti a lasciare l’azienda alla ricerca di riconoscimento e di una maggiore crescita altrove, intaccando di fatto la capacità dell’azienda di eccellere sul mercato.

L’importanza della leadership

La leadership è fondamentale, ancor più in un contesto di forte e rapido cambiamento come quello moderno, in cui è importantissimo l’impegno di tutti per definire e raggiungere gli obiettivi aziendali, resi sempre più ardui da un mercato selettivo e spietato. La leadership è fondamentale in particolare per la nuova generazione (la cosiddetta “Generazione Z“) che sta cominciando ad affacciarsi sul mondo del lavoro e che privilegia la stabilità, la soddisfazione, la flessibilità e il clima lavorativo, rispetto ai classici concetti di potere, fama e soldi.

Leadership non è sinonimo di anzianità, né di spiccate capacità manageriali, perché oltre agli aspetti professionali contempla qualità personali, sociali e addirittura spirituali ed evolutive. Non è nemmeno legata ai concetti di profitto e produttività. La forza di un leader non è misurabile con il numero di seguaci (o di follower), bensì attraverso il significato e il potere delle azioni e dei cambiamenti che egli ispira. Il vero leader non è il più forte o il più bravo, ma è colui che spinge gli altri a essere più forti e migliori.

Se le tue azioni ispirano gli altri a sognare di più, imparare di più, fare di più e diventare di più, sei un leader.

(cit. John Quincy Adams)

Ciò che ho imparato…

A chi non è mai capitato di lavorare con un capo per nulla leader e tutt’altro che all’altezza del ruolo? A me è capitato più di una volta nel mio percorso professionale, e devo ammettere di aver imparato molto da quegli anni di sofferenza psicofisica: ad esempio, ho delineato cosa avrei assolutamente evitato qualora un giorno fossi diventato anch’io un capo e cosa invece avrei privilegiato per avere successo, tendendo il più possibile verso il concetto di “leader”.

Ho imparato l’importanza di aspetti come la comunicazione, la partecipazione, l’empatia, la promozione di iniziative formative ed evolutive, e molto altro ancora. Ho imparato anche che essere leader significa dare l’esempio in qualsiasi aspetto della vita lavorativa, fin dai più piccoli gesti e dalle cose apparentemente più insignificanti. Ho imparato che non c’è modo di misurare in maniera soggettiva la propria leadership se non negli effetti che essa oggettivamente genera negli altri. Ho imparato che un’azienda, per essere vincente, deve promuovere e favorire un clima accogliente, una cultura di rispetto e comunione d’intenti, una crescita personale sotto diversi aspetti, non solo professionali, ma soprattutto personali. Perché qualsiasi azienda è fatta principalmente di persone e più le persone crescono e si evolvono personalmente, più sono contente e amano il loro lavoro, più l’azienda può contare su forti basi di prosperità e successo.

La leadership secondo Sinek

L’altro giorno ho intercettato un altro discorso illuminante di Simon Sinek, incentrato sul concetto di costanza in riferimento all’amore, alla salute, alle relazioni e, guarda caso, proprio alla leadership. Ho trovato l’intervento dello scrittore e saggista, autore di “Start With Why” e “Leaders Eat Last“, molto illuminante e, soprattutto, molto in linea con il mio modo di intendere la leadership. Ne ho fatto una traduzione con l’obiettivo di proporlo ai miei lettori e follower, perché ritengo sia importante focalizzare l’attenzione su ciò che realmente conta nella vita lavorativa e personale di tutti i giorni, soprattutto in una società letteralmente in preda a falsi ed effimeri modelli che propongono una versione artificialmente edulcorata di sé stessi, trasferendo alla gente il concetto che i propri difetti vadano considerati come un qualcosa da nascondere accuratamente e non le fondamenta da cui partire per migliorarsi, crescere ed evolversi.

Ecco il testo dell’intervento (seguito dal relativo video in lingua inglese), che inizia con una domanda impossibile:


Simon: Ami tua moglie?

Intervistatore: Sì.

Simon: Provalo. Qual è il parametro? Dammi il numero che mi faccia capire. Perché, quando l’hai incontrata, non l’amavi. Adesso l’ami, giusto? Dimmi il giorno in cui l’amore è sbocciato. È una domanda impossibile, ma non è che non esiste, è che è molto più facile provarlo nel tempo. Ok?

La leadership è la stessa cosa, è fatta di transizioni. Come se tu andassi in palestra, è come allenarsi, ok? Se vai in palestra, ti alleni, quindi torni a casa e ti guardi allo specchio, non vedi nulla di nuovo. Se vai in palestra il giorno dopo e poi ti guardi allo specchio, non vedi nulla di nuovo. Ok? Così, chiaramente, non vedi risultati apprezzabili, non puoi misurarlo, quindi non appare efficace. Così smetti di andarci.

Oppure, fondamentalmente credi che questa sia la strada giusta e non ti dai per vinto, come in una relazione: “le ho comprato dei fiori e le ho augurato buon compleanno, ma lei non mi ama”, quindi ovviamente mi arrendo. Questo è ciò che accade. Se credi che ci sia qualcosa, ti impegni in un atto di servizio. Ti impegni a regime, a esercitarti. Puoi mandare tutto all’aria, puoi mangiare una torta al cioccolato un giorno, puoi saltare l’allenamento per un giorno o due, è possibile. Ma se ti impegni con costanza, non so in quale giorno, ma sono certo che comincerai a metterti in forma. Ne sono certo.

Lo stesso avviene con una relazione. Non è dovuto agli eventi, non riguarda l’intensità, è una questione di costanza. Ok?

Se ti limiti ad andare dal dentista due volte all’anno, i tuoi denti cadranno. Devi lavarti i denti ogni giorno per due minuti. In cosa consiste lavarti i denti due volte in un giorno per due minuti? Niente. A meno che non lo ripeti tutti i giorni, due volte al giorno per due minuti. Ok? È una questione di costanza. Andare in palestra per nove ore non ti rimette in forma. Allenarti ogni giorno per venti minuti ti rimette in forma.

Quindi il problema è che gestiamo la leadership con intensità, organizziamo due giorni fuori sede, invitiamo un mucchio di speaker, diamo a tutti un certificato e… bam! Sei un leader! Ok? Queste cose sono come andare dal dentista. Sono molto importanti, sono ottime per farci tenere a mente i concetti o per rimetterci in carreggiata, imparare nuove lezioni, ma è la pratica quotidiana di tutte le piccole cose monotone e noiose, come lavarsi i denti, che importano di più.

Lei non si è innamorata di te perché ti sei ricordato del suo compleanno, o perché le hai comprato dei fiori a San Valentino. Si è innamorata di te perché quando ti svegliavi al mattino, le dicevi “buongiorno” prima di controllare il tuo cellulare. Si è innamorata di te perché quando andavi al frigorifero a prenderti una bevanda, ne portavi una anche a lei anche senza che te lo chiedesse. Si è innamorata di te perché quando hai avuto una giornata meravigliosa al lavoro, e lei ne ha avuta una terribile, non le hai detto «sì, sì, sì, ma lascia che ti parli della mia giornata». Ti sei seduto e hai ascoltato del suo giorno orribile, senza dire una parola della tua giornata meravigliosa. Ecco perché lei si è innamorata di te.

Non posso dirti esattamente in quale giorno e non c’è stata una particolare cosa che hai fatto; è stato l’insieme di tutte quelle piccole cose a portarla un giorno a svegliarsi e, come se avesse premuto un pulsante, a dire “lo amo”.

La leadership è esattamente la stessa cosa. Non c’è un evento. Non posso dirti una cosa che devi fare perché le persone si fidino di te, semplicemente non funziona così. È un insieme di tante, tante piccole cose che, prese da sole, sono innocue e inutili, letteralmente senza senso. La gente guarderà a queste piccole cose che sono buone pratiche di leadership e dirà “così non funziona” e ha assolutamente ragione. Ma tutto cambia se lo fai con costanza, e lo fai in combinazione con tante altre piccole cose, come dire buongiorno a qualcuno e guardarlo negli occhi.

Il mio amico George, che era un generale a tre stelle del Corpo dei Marine, dice che il suo esame di leadership (mi piace molto questa cosa), di buon leader, è se chiedi a qualcuno come va la sua giornata e ti importa veramente della sua risposta. Le tante volte in cui stiamo entrando in una riunione e siamo di fretta, e chiediamo “come stai?” e quando l’altro tenta di rispondere diciamo “adesso non posso, ci vediamo più tardi, sono in ritardo per la riunione”. Se invece hai posto la domanda e sei rimasto lì ad ascoltare la risposta, ecco, sono quelle piccole innocue cose che fai, più e più volte, e ancora, che fanno dire alla gente “amo il mio lavoro”. Non “mi piace il mio lavoro”. “Mi piace il mio lavoro” significa “Sì, la sfida è stimolante, mi pagano bene, mi piace la gente”. “Amo il mio lavoro” significa “Non vorrei lavorare da nessun’altra parte. Non mi interessa quanto qualsiasi altro mi voglia pagare, mi dedico a queste persone e mi importa assolutamente di loro come se fossero la mia famiglia”.

Nel business abbiamo colleghi e collaboratori. Nell’esercito ci sono fratelli e sorelle. È così che ognuno pensa degli altri. Se hai veramente una forte cultura aziendale, le persone penseranno agli altri come fratelli e sorelle. “È come una famiglia”? No. Fratelli e sorelle. Amore profondo. Litighi, ma l’amore non si dissolve. Bisticci, ma l’amore non se ne va. E potrei anche litigare con mia sorella, ma se minacci mia sorella, te la dovrai vedere con me. Ok? Possiamo litigare internamente, possiamo bisticciare fra di noi, ma nessuno farà del male agli altri, e se qualcosa si manifesta dall’esterno, noi appariremo come un fronte unico. Fratelli e sorelle.

Quindi, come crei fratelli e sorelle a partire da un gruppo di estranei?

Credenze comuni, valori comuni, genitori, in altre parole, dirigenti, cui sta a cuore il successo dei loro figli. Che tengono alla crescita dei loro figli, all’insegnamento di capacità, a disciplinarli quando necessario, ad aiutarli a costruire la loro autostima, affinché possano continuare e ottenere qualcosa in più di quanto tu possa mai immaginare di ottenere per te stesso.

Questa è la leadership. Amore assoluto e devozione per le persone che hanno dedicato la loro vita a questa azienda.

Leadership Explained in 5 minutes by Simon Sinek


Sei manager o leader?

Molti manager si lamentano quando i loro migliori collaboratori scelgono di cambiare aria, danno la colpa a tutto ciò che non va in azienda, ma spesso ignorano l’assunto iniziale di questo articolo e non capiscono che, molto probabilmente, la causa è da ricercarsi nel rapporto che essi stessi hanno instaurato con i loro collaboratori. Fra gli aspetti che spingono le persone a lasciare un’azienda si possono certamente citare il sovraccarico di lavoro, il tradimento di promesse fatte, la promozione di persone inadeguate, soprattutto lo scarso supporto verso lo sviluppo delle competenze, la creatività, lo stimolo intellettuale, oltre al mancato riconoscimento dell’impegno e degli sforzi fatti o lo scarso interesse verso la situazione lavorativa e personale dei propri collaboratori.

Essere manager di una funzione aziendale non equivale a essere un leader: comporta la responsabilità di creare un clima positivo, rispettoso e stimolante, promuovere l’evoluzione professionale e personale dei collaboratori, tirare fuori il meglio delle persone e valorizzarlo, interessarsi sinceramente a loro e creare le premesse perché nuovi leader crescano in azienda. Il valore di un’azienda rispecchia fedelmente il valore delle persone che vi lavorano e sono proprio i manager e i dirigenti a dover dare l’esempio per primi e creare una sana cultura aziendale a tutti i livelli, magari ispirandosi al modello di fratellanza citato da Sinek, dando importanza alle piccole cose tutti i giorni, con costanza e sincera partecipazione.

Un vero leader genera altri leader invece che seguaci. Il leader autentico genera e incoraggia la leadership nei suoi collaboratori.


(cit. Pawan Kabra)

Ettore Guarnaccia


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