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La sicurezza delle imprese è fatta di persone competenti e consapevoli

Se questo articolo ti è piaciuto, condividilo!Un manifesto per la competenza digitale e la consapevolezza in materia di sicurezza online con focus sulla Generazione Z Articolo pubblicato sull’edizione 2019 del Rapporto Clusit sulla Sicurezza ICT […]
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Un manifesto per la competenza digitale e la consapevolezza in materia di
sicurezza online con focus sulla Generazione Z

Articolo pubblicato sull’edizione 2019 del Rapporto Clusit sulla Sicurezza ICT in Italia (pp. 245-252) presentato al Security Summit 2019 a Milano il 12 marzo 2019. L’edizione elettronica del rapporto può essere richiesta gratuitamente qui.

L’onda della trasformazione digitale sta investendo e trasformando profondamente le imprese. Esse richiamano o sviluppano al loro interno nuove professionalità basate su competenze tecnologiche (sviluppo e semantica web, comunicazione digitale, robotica, cyber security, ethical hacking, intelligenza artificiale, realtà aumentata) e soft skill (pensiero computazionale, creatività, autonomia, capacità comunicativa, problem solving, lavoro in team, capacità di pianificare e organizzare, conseguimento di obiettivi e resistenza allo stress). L’esigenza di abilità digitali è in continua crescita non solo nei ruoli informatici, ma in tutte le aree aziendali: business management, marketing e vendite in testa. Il fenomeno è particolarmente evidente per l’industria 4.0, rivoluzione diretta alla produzione automatizzata e interconnessa, basata su robotica avanzata, realtà aumentata, simulazione virtuale, cloud computing, big data analytics e IoT.

La cyber security, in particolare, sta assumendo un ruolo di rilievo agli occhi del business e del top management, grazie al recente proliferare di notizie di cronaca su data breach, infezioni da malware e danni alla reputazione aziendale di tante aziende. Il processo di trasformazione digitale, infatti, è diretto a realizzare prodotti e servizi digitali innovativi, accattivanti, semplici da usare, ma anche resilienti, scalabili, sicuri, in grado di garantire un’adeguata protezione dei dati e la conformità con leggi e regolamentazioni.

La sfida che ne deriva è soddisfare la domanda che questi fenomeni stanno generando: secondo l’Unione Europea, entro il 2020 si registrerà un deficit di 825mila risorse con competenze digitali, avremo 500mila posti ICT vacanti e ben 9 lavori su 10 richiederanno abilità digitali. Eppure solo un lavoratore su tre oggi dispone di preparazione adeguata e due aziende su tre lamentano scarsa competenza interna. Non è più solo un problema di reperire specialisti ICT, bensì di rispondere alla più vasta domanda di abilità digitali, oltre che per sviluppare o gestire sistemi, per servirsene con efficacia e sicurezza per comunicare, vendere, produrre e amministrare.

Ma un problema merita la nostra attenzione: la nuova generazione di futuri cittadini e lavoratori non dispone delle competenze digitali richieste. Secondo il rapporto AICA pubblicato dalla ECDL[1], solo il 15% della popolazione studentesca è esperta di tecnologie e il 45% dimostra conoscenze piuttosto rudimentali, solo il 7% dei giovani tra i 15 e i 29 anni dimostra capacità digitali di livello adeguato, mentre secondo una ricerca ICILS[9] il 25% degli studenti europei ha un basso livello di competenza digitale. Il rapporto “Orizzonte Europa 2014” della Commissione Europea[2] evidenzia che il livello di competenza digitale di bambini e adolescenti europei resta insufficiente, in particolare per quanto riguarda l’alfabetizzazione informatica critica e partecipativa: gli studenti non sanno leggere i contenuti, relazionarsi con essi o adottare una propria reazione critica o creativa.

Se la situazione generale è preoccupante, nelle classifiche dell’UE in materia di digitalizzazione e competenza digitale l’Italia è ancora in coda[3]. La ricerca “Il futuro è oggi: sei pronto?” svolta da University2Business nel biennio 2015-2017[4] rileva che le competenze digitali sono considerate importanti dai due terzi degli studenti universitari italiani, ma la maggioranza di essi (53%) è ferma a una conoscenza di base, da semplice utilizzatore di Internet e dei social media (60% delle femmine e 45% dei maschi). Anche gli esiti delle prove di lettura in digitale pubblicate dal MIUR[5] evidenziano che solo un quarto degli studenti italiani consulta il web in modo orientato e critico, con oltre un terzo appena o per nulla in grado di gestire le proprie competenze, mentre emerge chiaramente la necessità di integrare le tecnologie digitali nella didattica e sperimentare nuove metodologie nella pratica pedagogica quotidiana. E nessuno pare accennare agli aspetti di sicurezza tecnologici, di processo e relativi al comportamento umano.

I grandi e rapidi cambiamenti di una società ipertecnologica e iperconnessa creano molte opportunità nel mondo del lavoro e dei mercati globali, ma è indispensabile essere in grado di comprenderle e sfruttarle, ecco perché è importante che le nuove generazioni di cittadini e lavoratori siano dotate degli strumenti cognitivi per cavalcare l’onda della trasformazione digitale mondiale. Il World Economic Forum ha stilato una lista delle abilità[6] necessarie ai giovani studenti di oggi e di domani, suddividendole in otto aree differenti, ma interconnesse:

  • Identità digitale: capacità di gestire identità, reputazione, presenza online e possibili impatti.
  • Uso del digitale: capacità di usare i dispositivi digitali con un salutare bilanciamento fra vita reale e virtuale.
  • Incolumità digitale: capacità di riconoscere, evitare, limitare e gestire i rischi online e l’accesso a contenuti turbativi.
  • Sicurezza digitale: capacità di rilevare minacce informatiche (es. attacchi, truffe e malware), comprendere e adottare best practice e strumenti di protezione.
  • Intelligenza emotiva digitale: capacità di essere empatici e costruire proficue relazioni online.
  • Comunicazione digitale: capacità di comunicare e collaborare con gli altri utilizzando le tecnologie e i media digitali.
  • Letteratura digitale: pensiero computazionale e capacità di cercare, trovare, valutare, utilizzare, condividere e generare contenuti.
  • Diritti digitali: capacità di comprendere e difendere i diritti personali e legali, inclusi privacy, proprietà intellettuale e libertà di espressione.

Un necessario quanto apprezzabile sforzo tassonomico degli obiettivi, cui le nuove generazioni, tuttavia, non paiono rispondere in modo adeguato. Ci riferiamo alla Generazione Z, quella dei nativi digitali che inizia dagli ultimi anni del precedente millennio, nati e cresciuti in una società ipertecnologica e iperconnessa, che iniziano ad affacciarsi al mondo del lavoro: non hanno mai visto un mondo senza Internet, smartphone e social media, sono immersi in una continua innovazione tecnologica e costituiscono una vera rivoluzione in fatto di comportamenti e apprendimento. Considerati erroneamente dalla società grandi esperti di tecnologie, in realtà dimostrano una grave carenza in termini di competenza tecnologica e di abilità digitali.

Non hanno vissuto la nascita e i vari stadi di sviluppo di Internet e delle tecnologie digitali nel tempo, non hanno modo di aprire e smontare i dispositivi come si poteva in passato, pagando così il presso delle tecnologie integrate e portabili always on: l’esperienza del prima e del dopo, del fai da te. La disinvoltura di utilizzo che hanno acquisito nel rapporto continuativo con la tecnologia è qualcosa di notevolmente diverso dalla reale competenza, che presuppone una comprensione ben più profonda.

Un’insegnante[7] ha avuto l’idea di mettere alla prova le competenze informatiche dei nativi digitali prendendo in esame il quadro delle competenze digitali di Europass[8]: ha scoperto che un numero molto ristretto di giovani può rispondere alla descrizione dell’utente autonomo o, più spesso, dell’utente base. Molto scarse le competenze di strutturazione e editing di testi, così come le abilità digitali tradizionali e fondamentali. I testi prodotti sono spesso affetti da errori di formattazione, spazi duplicati, allineamenti maldestri, utilizzo incerto dei font, incapacità di creare una semplice casella di testo, inserire un grafico o costruire una tabella. Non conoscono gli strumenti di presentazione o i fogli di calcolo, non conoscono le potenzialità dei motori di ricerca né l’uso corretto della posta elettronica o le regole basilari di comunicazione formale/informale e l’utilizzo dei campi standard. La disinvoltura e l’agilità con cui mulinellano i pollici sui display di smartphone e tablet non trova analoga corrispondenza quando sono alle prese con una tastiera, sia essa fisica o virtuale, dimostrandosi visibilmente impacciati e usando spesso solo i due indici per scrivere.

La lacuna più grave riguarda la sicurezza, comprovata dall’incauta e disinvolta pubblicazione di dati sensibili e informazioni personali sul web, dall’ignoranza dei protocolli di sicurezza e dei sistemi di protezione, dall’uso di password spesso banali e riutilizzate su più account, uniti all’ingenuità di fondo nell’uso dei servizi digitali che li espone al rischio di subire violazioni informatiche, truffe di vario genere, molestie, tentativi di adescamento e danni irreparabili sul piano dell’immagine personale e dell’autostima. Il concetto di “nativo digitale” genera negli adulti, specialmente genitori e insegnanti e quindi, perché no, nei recruiter senior, un’errata percezione delle competenze. Questo, almeno nel prossimo futuro, non deve continuare a tradursi nella rinuncia o nell’omissione di insegnamenti e programmi scolastici indirizzati allo sviluppo delle competenze digitali, soprattutto in materia di valutazione di minacce e rischi, nonché di prevenzione e sicurezza in generale. In estrema sintesi, gli appartenenti alla Generazione Z, eccezionali utenti ma senza una reale competenza tecnologica, sono potenzialmente un mix estremamente pericoloso. Per sé stessi e per il mondo delle imprese.

 

Competenza, rischi e minacce: il profilo della Generazione Z in un’indagine sulla consapevolezza digitale

Da professionista della cyber security, genitore e formatore volontario nelle scuole, ho allestito un questionario di 100 domande su aspetti qualitativi, comportamentali ed emozionali che non ho trovato nelle tante ricerche reperite sul tema, e l’ho somministrato online e presso 15 istituti scolastici a un campione di oltre duemila bambini e ragazzi di età compresa fra 9 e oltre 18 anni (dalla quarta elementare alla quinta superiore).

Grafico del campione della rilevazione, ripartito per età

L’ho fatto perché nutrivo molti dubbi sul livello di consapevolezza della nuova generazione e sugli effetti che questo avrebbe potuto avere sulla loro vita. Ne ho fatto un libro, autoprodotto, che tratta oltre 40 argomenti fra tendenze, minacce e rischi, ed è arricchito dalla rappresentazione dei dati raccolti (oltre 500 grafici per età, classe e sesso), da oltre 200 studi e ricerche di terze parti e dall’esperienza di professionisti psicologi, tecnologi ed esperti di comunicazione.

Grafico con illustrazione dei fattori di rischio per incidenza, livello di rischio e impatto potenziale

L’indagine conferma la scarsa competenza digitale della nuova generazione: meno di un rispondente su dieci è in grado di descrivere correttamente cos’è Internet, mentre la maggior parte confonde concetti di base che dovrebbero essere ormai assodati da tempo. La predisposizione dei giovani a concedere l’amicizia a perfetti sconosciuti (oltre uno su due) o a persone conosciute esclusivamente online (quasi due su tre) è molto diffusa. Un rispondente su tre concede l’amicizia a perfetti sconosciuti senza alcun problema, sulla base del solo aspetto fisico o dell’interesse suscitato dal richiedente, mentre un terzo la concede se il richiedente ha amicizie in comune o appare come un coetaneo (vedi falsi profili e furti d’identità). La maggioranza dei giovani pubblica informazioni e contenuti visivi riguardanti la propria sfera privata, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze in termini di immagine personale o possibile utilizzo di questi dati da parte di malintenzionati. Anche la capacità di bilanciare in maniera salutare la vita virtuale con quella reale è un serio problema: uno su due ammette di andare a letto tardi e di dormire troppo poco pur di continuare a usare i dispositivi digitali, uno su quattro rinuncia a studiare, uno su quattro fatica a concentrarsi su un particolare compito, uno su cinque dichiara di dormire male e di sentirsi stanco, mentre in alcuni casi si arriva a rovinare relazioni, ad alimentarsi in maniera scorretta o a rinunciare all’igiene personale. Uno su tre ammette di continuare a chattare a notte inoltrata (fenomeno del vamping), uno su quattro già a 9 anni.

Insufficiente qualità del sonno e della vita, difficoltà di concentrazione e complicazione delle relazioni sono chiari indicatori della dipendenza diffusa che affligge la nuova generazione (e con gradi differenti anche le precedenti), anche a causa della natura particolarmente attrattiva e assuefacente delle moderne tecnologie digitali: basti pensare al like di Facebook, alle notifiche, alle stories e a tutti gli altri stratagemmi che sfruttano i meccanismi neurologici della gratificazione e della ricompensa variabile. Questa dipendenza diffusa comporta un aumento della sedentarietà e dei difetti visivi. Sono in pochi coloro che passano almeno 2-3 ore all’aria aperta e alla luce naturale come raccomandato da diversi studi internazionali, mentre uno su tre in media è affetto da difetti visivi, in particolare la miopia, con una preoccupante incidenza di uno su due già a 17 anni e un trend in forte aumento. Il discorso riguarda anche i videogiochi, con un rispondente su cinque che gioca quotidianamente dalle 2 ore in su, addirittura uno su due che viene lasciato dai genitori a giocare senza supervisione fino al raggiungimento della propria soglia di tolleranza, e uno su cinque cade in preda alla rabbia se è costretto a interrompere il gioco o gli viene impedito di giocare. Sintomi di astinenza dal gioco digitale sono osservabili su un soggetto su tre nella fascia 9-14 anni, soprattutto alle età più basse, mentre si nota anche una diffusa incapacità a inventare forme di gioco alternative non digitali (uno su tre prova noia senza smartphone o videogiochi).

Inoltre sono in pochi coloro che dimostrano la capacità di riconoscere le principali minacce online: l’uso di social ad accesso anonimo è molto diffuso sebbene sia alla base di storie drammatiche di suicidio adolescenziale, l’uso di videochat esplicitamente a sfondo sessuale (uno su cinque a 10-14 anni) può comportare seri turbamenti della sfera sessuale, l’emulazione di fenomeni e ideologie pericolosi (online challenge, selfie e video estremi, videogiochi violenti, anoressia, bulimia, autolesionismo e tendenza al suicidio) può portare a danni permanenti o alla morte, i tentativi di adescamento online sono frequenti (uno su quattro riceve proposte da sconosciuti, uno su dieci con una certa frequenza, uno su sei è stato vittima di tentativi di coercizione da parte di malintenzionati), mentre la pericolosissima pratica del sexting (in media uno su sei, uno su quattro a 16 anni) può condurre a ricatti, estorsioni, seri danni all’immagine personale e, nei casi più gravi, al suicidio.

Purtroppo il processo di accrescimento delle loro abilità digitali non è supportato né dall’ambiente famigliare né dal sistema educativo scolastico.

Molti genitori sono tagliati fuori dal mondo digitale dei loro figli e non hanno la capacità di riconoscerne i fattori di rischio, di conseguenza non possono trasmettere loro con efficacia i migliori strumenti cognitivi necessari a prevenire e gestire situazioni pericolose e incidenti di percorso. L’uso di strumenti di controllo parentale riguarda un’esigua minoranza degli intervistati ed è limitato alle fasce d’età più basse (fino ai 12 anni), anzi la maggior parte dei figli (due su tre già a 9 anni, la quasi totalità dai 13 anni in su) afferma di avere completa autonomia di utilizzo dei dispositivi digitali senza alcuna supervisione dei genitori. I genitori di oltre un rispondente su due non sanno cosa fanno i figli online, mentre sono spesso loro stessi a pubblicare contenuti sui propri figli (sharenting), tanto che due terzi dei nuovi nati finiscono online nel giro di un’ora dalla nascita e un minore su quattro afferma che i suoi genitori hanno pubblicato immagini che lo ritraggono in costume da bagno o intimo (con il rischio che vengano riutilizzate in circuiti di pedofilia). Nella maggior parte dei casi sono i genitori a spingere i figli ad aprire account social prima dei 13 anni, età minima richiesta dalla maggior parte delle piattaforme.

Al tempo stesso, il sistema educativo scolastico si rivela incapace di sviluppare la competenza digitale corredata dalla necessaria consapevolezza. Uno studente delle elementari su due non ha mai partecipato a incontri educativi o di sensibilizzazione (quasi sempre sporadici e tenuti su base volontaria), uno su quattro alle medie e uno su sei alle superiori. Il sistema educativo non ha ancora recepito né i cambiamenti generazionali né quelli tecnologici, restando ancorato a criteri e metodi non più attuali, di fatto inadatti a garantire un apprendimento efficace e stimolante per le nuove generazioni. Quasi due docenti su tre sono ultracinquantenni a fronte di una media europea di uno su tre e l’innalzamento dell’età pensionistica aggrava ulteriormente il problema. Il mercato del lavoro è fatto di innovazione, digitalizzazione, social, immediatezza, comunicazione, creatività, tutti aspetti che la scuola non comprende nella propria offerta formativa. L’impegno di molti istituti scolastici nell’organizzare incontri educativi sulle opportunità e i rischi online è indice di un generale aumento della percezione sull’importanza delle competenze digitali: se oggi il cyberbullismo è uno dei fattori di rischio con più bassa incidenza fra i minorenni è grazie al fatto che si è investito molto sul dibattito mediatico e sull’educazione nelle scuole (nove minori su dieci hanno partecipato a incontri sul bullismo e otto su dieci sul cyberbullismo a scuola) negli ultimi anni. Insomma, dove si è investito, i risultati si sono chiaramente visti. Purtroppo si parla ancora troppo poco di fattori di rischio ben più pericolosi e diffusi come la dipendenza, la pedofilia, l’adescamento e il sexting.

Il trasferimento di competenze, educazione e sensibilizzazione in materia non può ridursi alla buona volontà di quei pochi dirigenti e insegnanti che ne hanno compreso l’importanza e scelgono di impegnarsi in prima persona per garantirlo ai loro alunni, spesso superando ostacoli burocratici e la resistenza interna del sistema. È urgente definire un programma strutturato di iniziative educative che parta dal MIUR e coinvolga attivamente gli esperti in materia. C’è ancora molto da fare, siamo in ritardo di almeno un decennio e c’è il rischio che questa generazione sia condannata a esaurire il proprio percorso scolastico senza le competenze digitali necessarie a proteggersi dai rischi online e a rispondere adeguatamente alla domanda delle aziende quando accederanno al mondo del lavoro.

La Generazione Z è abituata all’estrema sintesi delle comunicazioni (vedi WhatsApp e Instagram), al fatto che c’è sempre un filtro per mostrare il proprio lato migliore, ma denota la forte diminuzione del livello di attenzione e la ricerca delle gratificazioni immediate. L’hic et nunc che sperimentano con il digitale fin dalla nascita, la tendenza a dormire poco e male, l’incapacità di curare la propria reputazione digitale impediranno a molti di soddisfare le aspettative delle aziende che ricercano competenza, abilità digitali e soft skill per supportare i loro processi di trasformazione digitale, garantendo la salvaguardia del business, la protezione dei dati e la sostenibilità per il consumatore. È indispensabile agire subito con una strategia ben precisa a livello nazionale, trovando il coraggio di cambiare e innovare non solo nell’ambito aziendale, ma soprattutto in quello famigliare e scolastico (magari con il supporto delle aziende stesse), per creare una classe di cittadini e lavoratori competenti, consapevoli e in possesso dei migliori principi in materia di etica, rispetto, regole di convivenza, responsabilità e sicurezza, per disegnare e realizzare la società del futuro.

È urgente sviluppare un piano strutturato di introduzione di una nuova disciplina nel sistema educativo scolastico: l’Educazione Digitale!

Facciamo in modo che essa fornisca le basi culturali minime per usare in maniera proficua, responsabile, rispettosa e sicura le moderne tecnologie digitali. Nel frattempo abbiamo forgiato una generazione eccezionalmente capace di interagire con la tecnologia, ma pericolosamente all’oscuro della sua vera natura, dei meccanismi e dei risvolti potenzialmente dannosi, mentre l’evoluzione tecnologica ha generato dispositivi sempre più smart che hanno reso gli utenti pericolosamente dummy.

Di questo e molto altro parlo nel mio libro “Generazione Z – Fotografia statistica e fenomenologica di una generazione ipertecnologica e iperconnessa” pubblicato a ottobre 2018 e disponibile su Amazon. Il mio più sentito ringraziamento a Gigi Tagliapietra, presidente onorario del Clusit, e a Federica Boniolo, presidente di #UnitiinRete, per le preziose prefazioni, a Gregorio Ceccone, Garibaldi Conte, Guido D’Acuti, Davide Dal Maso, Andrea Micheletti e Claudio Simoni per aver arricchito il testo con la lettura dei risultati dell’indagine alla luce della loro preparazione ed esperienza sul campo, a Achab S.p.A., socio Clusit dal 2018, per aver creduto nel progetto e finanziato la produzione e la distribuzione della prima tiratura cartacea con cui è stato possibile diffondere consapevolezza nel pubblico, e infine alle associazioni Rete Progetti, #UnitiinRete e Clusit per l’impegno a fare rete insieme per promuovere la cultura in materia di sicurezza online. Un ringraziamento speciale a Debora Casalini per il fondamentale supporto al progetto e alla stesura e revisione del libro.

La copertina del libro Generazione Z

Il libro “Generazione Z” è acquistabile su Amazon (consegna in un solo giorno se si ha Prime) oppure direttamente su questo blog a prezzo agevolato utilizzando l’apposito modulo di richiesta all’autore.


[1] Il falso mito del “nativo digitale”: perché i ragazzi hanno bisogno di sviluppare le proprie competenze digitali – AICA, Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico – http://ecdl.org/media/position_paper_italian.pdf

[2] “Horizon Report Europe – 2014 Schools Edition” – EU Science Hub – The European Commission’s science and knowledge service – https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/horizon-report-europe-2014-schools-edition

[3] The Digital Economy and Society Index (DESI) 2018 – https://ec.europa.eu/digital-single-market/desi

[4] Ricerca “Il futuro è oggi: sei pronto?” di University2Business svolta su un campione di studenti universitari (circa 2.600 nel 2015 e 4.000 nel 2017) e di responsabili delle risorse umane (168 nel 2015 e 250 nel 2017) in merito alle competenze digitali e imprenditoriali degli studenti universitari italiani. (http://www.ilfuturoeoggi.it/la_ricerca.php)

[5] “Studenti, computer e apprendimento: dati e riflessioni – Uno sguardo agli esiti delle prove in Lettura in Digitale dell’indagine OCSE PISA 2012 e alla situazione in Italia” – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. (http://www.istruzione.it/alle-gati/2016/MIUR_2015-Studenti-computer-e-apprendimento.pdf)

[6] 8 digital skills we must teach our children – World Economic Forum – https://www.weforum.org/agenda/2016/06/8-digital-skills-we-must-teach-our-children/

[7] Articolo “Nativi e analfabeti digitali: il paradosso della Generazione Goole” di Anna Rita Longo – Scientificast (2017) https://www.scientificast.it/2017/11/02/nativi-analfabeti-digitali-paradosso-della-generazione-google/

[8] Europass è costituito da cinque documenti destinati ad aiutare i cittadini europei a identificare chiaramente e facilmente le proprie competenze e qualifiche in Europa. Fra questi è incluso il quadro delle competenze digitali: https://europass.cedefop.europa.eu/it/resour-ces/digital-competences

[9] Report IEA ICILS (International Computer and Information Literacy Study): How well are students prepared for study, work, and life in the digital age? https://www.iea.nl/sites/default/files/studies/IEA%20ICILS%202018%20leaflet.pdf


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