Le forme di dipendenza tecnologica che caratterizzano i giovani nell’era moderna: storie, fenomeni, patologie, correlazioni, rischi ed effetti sulla nuova generazione.
Domenica 31 marzo, presso la sala polivalente della Parrocchia di San Giovanni Battista nel quartiere Pontevigodarzere a Padova, ho tenuto un incontro con un gruppo di una trentina di giovani e giovanissimi (12-18 anni) sul tema della dipendenza tecnologica. Ringrazio gli animatori Roberto Masetti e Ilaria Moro per il gradito invito e Don Mariano Massaro per l’ospitalità.
Per la prima volta ho adottato un nuovo format che prevede domande di sondaggio in specifici punti di controllo del programma, con l’obiettivo di rilevare la percezione del pubblico sui temi trattati e poterne discutere insieme gli esiti. Una scelta che ha reso fortemente interattivo l’incontro, favorendo la partecipazione dei ragazzi e consentendo di valutare in tempo reale l’aumento di consapevolezza.
All’ingresso i ragazzi sono stati accolti dalla canzone “Dipendenza” di Daniele Silvestri e da un breve e divertente filmato dell’attore Edoardo Leo sull’esasperazione della tecnologica nella società moderna. Una volta rotto il ghiaccio, si è passati a parlare di dipendenza, dalla definizione agli elementi che la contraddistinguono e alle cause scatenanti. Proprio sul tema delle cause si è svolto il primo sondaggio live: i ragazzi hanno indicato soprattutto le sostanze in sé (tabacco, alcol e droghe), seguite dall’abuso dei dispositivi digitali e dei social, dalla debolezza psicologica e dalla soddisfazione derivante dall’uso. Dopo aver visionato un filmato che si basa sugli studi svolti dal giornalista e scrittore britannico Johann Hari (autore di pubblicazioni su depressione e lotta alle droghe su The Independent e The Huffington Post) in merito alla vera causa che genera la dipendenza, i ragazzi hanno compreso quanto sia importante il fattore emotivo nell’essere umano: la forte esigenza di legami affettivi ed emotivi che caratterizza ognuno di noi può dare luogo a vuoti emotivi nel momento in cui subiamo abusi, violenze o forti delusioni nel contesto famigliare, sociale, lavorativo o, più in generale, nella realizzazione personale. Altro fattore molto importante è il senso di solitudine che tende a generare tendenza all’isolamento e, quindi, ulteriore solitudine.
Si è passati quindi a trattare il tema della dipendenza tecnologica, introducendo il concetto di Attention Economy e illustrando il pensiero degli sviluppatori delle maggiori compagnie di Silicon Valley (Google, Facebook, Apple, ecc.) che hanno contribuito in maniera determinante a sviluppare e rendere disponibili al grande pubblico le tecnologie che attraggono così tanto gli utenti e sono appositamente disegnate per catturarne l’attenzione e tenerli incollati al display. Ad esempio il “like” di Facebook, le notifiche, il pull-to-refresh e lo swipe, che adottano meccanismi di generazione del piacere e di rilascio di dopamina nel cervello degli utenti, sfruttando il subdolo meccanismo della ricompensa variabile.
Si è parlato quindi di Internet Addiction Disorder e delle nuove sindromi che si stanno diffondendo fra gli utenti, come la nomofobia (la paura di restare sconnessi dalla Rete) e la FOMO (Fear Of Missing Out, la paura di perdersi avvenimenti e notifiche). L’animazione video di Steve Cutts “Mobile World” ha illustrato loro come l’autore vede la società futura (o attuale?) a causa della tecnologia: una massa di persone passive con lo sguardo fisso sul display, attive solo nel documentare ciò che accade attraverso l’occhio della fotocamera dello smartphone, privi di qualsiasi emozione o empatia per ciò che accade intorno a loro, completamente anestetizzati all’intermediazione dei dispositivi digitali e assuefatti all’uso di filtri per rappresentare una versione falsa ed edulcorata della realtà. A seguire ho proposto ai ragazzi un filmato che rappresenta la realtà vista dall’occhio di diverse telecamere da tutto il mondo: persone che rischiano la vita tutti i giorni a causa dell’uso dello smartphone e della scarsa attenzione che questo comporta. La società illustrata da Cutts è già reale oggi.
Dopo i due video ho mostrato ai ragazzi alcune fotografie tratte dal Progetto “Removed” di Eric Pickersgill, in cui l’artista fotografo ha ritratto persone intente all’uso di dispositivi digitali in varie situazioni, per poi rimuovere digitalmente i dispositivi dalle immagini, lasciando cadere l’attenzione dello spettatore sul contesto, le posizioni assunte e le espressioni dei protagonisti degli scatti. Il secondo sondaggio live ha riguardato ciò che ha colpito maggiormente i ragazzi in relazione alle fotografie di Pickersgill: sono rimasto molto positivamente sorpreso dal fatto che la maggior parte di loro ha centrato gli aspetti cruciali, ovvero l’assenza di comunicazione fra le persone, l’assenza di contatto emotivo e visivo, gli sguardi corrucciati e fissi, la vicinanza fisica solo apparente. Proprio dall’osservazione di questi aspetti è nata in me l’idea di dare il titolo “Presenti ma di fatto assenti” a questo evento focalizzato sulla dipendenza tecnologica.
Si è passati poi a parlare di ludopatia, ovvero di dipendenza patologica dal gioco e dai videogiochi, sindrome inserita nel 2018 dall’OMS fra le malattie diagnosticabili. Ho letto ai ragazzi la storia di Tone Loke, un recensore di videogiochi conosciuto come “Downward Thrust” che ha voluto raccontare pubblicamente (video “The Bitter Reality Of Video Game Addiction” su YouTube) i tanti anni persi in preda alla dipendenza patologica da videogiochi (prima World of Warcraft e poi League of Legends) e come questo abbia rovinato completamente i migliori anni della sua giovane vita. La storia ha raccolto molto interesse fra i ragazzi e ciò è dimostrato dalle risposte fornite al terzo sondaggio live su cosa li avesse colpiti di più della storia di Tone Loke: il fatto che ha rovinato totalmente la sua vita, i tanti anni buttati via per il gioco e la rottura delle relazioni affettive.
A seguire è stato affrontato il gioco “Fortnite“, largamente diffuso fra bambini e adolescenti di tutto il mondo occidentale e da più parti accusato di essere stato disegnato appositamente per tenere i giocatori incollati allo schermo e di generare dipendenza sfruttando diversi meccanismi legati alla ricompensa variabile e al rilascio di dopamina nel cervello. Questi meccanismi sono stati spiegati loro da Christian Pulieri (canale: CrushTheTube), studente di informatica e telecomunicazioni, in un video focalizzato proprio su Fortnite che tratta di ricompensa variabile, competitività, dopamina e molto altro.
Poi alcuni brevi accenni al gioco d’azzardo, al fenomeno degli Hikikomori (i ragazzi isolati), alle correlazioni osservate fra le diverse forme di dipendenza e al temibile fenomeno degli energy drink, spesso confusi con gli integratori sportivi ma in realtà assolutamente pericolosi, soprattutto per bambini e ragazzi, a causa dell’altissima concentrazione di caffeina, zuccheri e sostanze eccitanti. Ho spiegato loro anche la recente moda di mescolare l’uso degli energy drink con quello dell’alcol, in particolare per sopprimere i sintomi dell’ubriacatura e continuare a bere alcolici, con il rischio di arrivare senza preavviso al coma etilico. Si registrano morti a causa di questa tendenza ancora troppo sottovalutata sia in ambito medico che in ambito educativo.
Un focus si è tenuto sui possibili effetti fisici della dipendenza tecnologica, citando l’aumento della sedentarietà fra i giovani e il conseguente aumento di disturbi di vario genere, fra cui l’obesità, la miopia (in rapido aumento già dagli otto anni d’età) e i danni muscoloscheletrici al collo (Text Neck) e alla mano (BlackBerry Thumb, iPad Hand, Whatsappitis, ecc.).
Infine, il quarto sondaggio live ha chiesto ai ragazzi cos’è più importante fare in caso di dipendenza patologica. Le risposte hanno confermato il loro chiaro aumento di consapevolezza, avvalorando l’opera di educazione e sensibilizzazione svolta durante l’incontro: non negare l’evidenza, non sottovalutare i segnali, ammetterlo a sé stessi, non credere di avere il pieno controllo della situazione e chiedere aiuto a un professionista sono proprio le principali cose da fare quando si ha il sospetto di essere vittime di dipendenza patologica dalla tecnologia, dai videogiochi, dal gioco d’azzardo e da qualsiasi altra forma di dipendenza. Molto importante anche capire che ognuno ha un proprio percorso di uscita dalla dipendenza, quindi ciò che può essere efficace per una persona può non esserlo per un’altra. In questi casi è sempre meglio adottare un approccio olistico, che contempli sia l’aspetto fisico-medico, che l’aspetto psicologico ed emotivo, prendendo in considerazione il contesto familiare, sociale e lavorativo, nonché gli eventuali “vuoti emotivi” che il soggetto si porta dietro. Risolti questi problemi, solitamente l’uscita dalla dipendenza è molto più agevole.
Molto lusinghiero il sondaggio finale su quanto servirà per la loro vita futura ciò che hanno appreso durante l’incontro: quasi il 90% di loro ha risposto “molto” o “moltissimo”, un risultato assolutamente lusinghiero, che da un senso compiuto al mio impegno personale di volontariato nel portare elementi educativi e di consapevolezza a bambini e ragazzi della nuova generazione. Molto gratificanti anche i feedback ricevuti dagli adulti presenti e dai genitori dei ragazzi.