Domani 18 gennaio e probabilmente anche lunedì 23 gennaio verrà attuato lo sciopero internazionale contro il famigerato SOPA, ovvero lo Stop Online Piracy Act (alias H.R. 3261), una proposta di legge in corso di approvazione presso la Camera dei Rappresentati degli Stati Uniti. Qualora questa proposta divenisse legge, qualsiasi cittadino statunitense proprietario di diritti d’autore potrebbe agire direttamente, senza passare per la giustizia ordinaria, verso gli Internet Service Provider (ISP), i servizi di hosting, i motori di ricerca o i social media per bloccare la diffusione non autorizzata dei contenuti protetti. Al SOPA si affianca un’altra proposta di legge denominata PIPA, cioè Protect Intellectual Property Act, anch’essa in corso di approvazione e dai contenuti analoghi e complementari. A più di qualcuno il PIPA appare come una sorta di compromesso da attuare in caso di mancata approvazione del tanto discusso SOPA, ma i pericoli derivanti rimangono pressoché inalterati.
La questione non è così semplice, né tantomeno indolore. Va chiarito subito che non è mai stata in discussione la giusta difesa della proprietà intellettuale, poiché, a detta di tutti gli attori della kermesse, la pirateria va comunque punita. Sono in discussione i metodi proposti e le possibili ripercussioni. Innanzitutto c’è il pericolo reale di introdurre una forma dannosa e scriteriata di censura del world wide web (non di Internet come erroneamente scrivono in molti, c’è una grande differenza), con il solo criterio del legittimo sospetto per dare il via all’operazione “terra bruciata” nei confronti del presunto (e ripeto, presunto) colpevole. Poi perché il carattere extragiudiziale delle contromisure, peraltro ad ampio spettro vista la difficile e complessa attuazione di misure capillari, potrebbe produrre una serie di vendette, reazioni e attacchi incrociati che potrebbero portare in breve alla paralisi del web. Un sito scrive qualcosa che non mi piace? Lo denuncio per furto di proprietà intellettuale ed esso viene immediatamente chiuso, censurato e oscurato, finché il malcapitato proprietario non riuscirà (faticosamente) a dimostrare la propria innocenza.
Chi sponsorizza, con estrema pressione, l’approvazione del SOPA sono ovviamente le potentissime lobby multimiliardarie della cinematografia di Hollywood, le case discografiche e la Camera di Commercio USA, con in prima linea il magnate Rupert Murdoch proprietario della News Corporation, la maggior compagnia di comunicazione di massa a livello mondiale. Dall’altra parte della barricata, la NetCoalition, formata dai colossi del web come Google, YouTube, Amazon, eBay, Yahoo!, Twitter, Facebook, Zynga, Wikipedia, Mozilla, BoingBoing, Twitpic, Reddit, Bloomberg, IAC e altri. Parte di questi sono intenzionati a scioperare già mercoledì 18 gennaio oscurando i propri siti web. Una seconda giornata di sciopero è prevista per lunedì 23 gennaio. L’obiettivo della NetCoalition, ovviamente, è impedire l’approvazione delle suddette leggi e rimetterne in discussione i contenuti.
Com’è facile intuire, le lobby della comunicazione puntano l’indice contro i colossi del web accusandoli di favorire la pirateria. Questi hanno risposto che hanno fatto e fanno già molto per combattere il furto di proprietà intellettuale e la pirateria agendo (ex post) contro i soggetti riconosciuti come colpevoli e affermano che il comportamento dei loro utenti non può essere imputato direttamente a loro. Multimiliardari contro miliardari, insomma, ma con in mezzo la libertà di espressione del world wide web.
Ma torniamo al nocciolo della questione. Il furto di proprietà intellettuale è un problema reale e riconosciuto, ma non è certo un problema di imposizione né un problema legale. Ogni nazione ha una legge che tutela la proprietà intellettuale ed è ormai dimostrato che agire su questi due fattori non porta a risultati apprezzabili anzi, spesso, contribuisce ad acuire il fenomeno. Studi dimostrano che la pirateria è il frutto dell’insoddisfazione dei clienti ai quali vengono offerti contenuti di sempre più scarso valore a prezzi sempre più alti, o comunque elevati rispetto al valore effettivo del prodotto offerto. A pensarci bene, se i film e gli album di musica venissero venduti ad un prezzo più ragionevole, perché la gente dovrebbe perdere così tanto tempo a procurarsi illegalmente i contenuti protetti? Probabilmente le lobby acquisterebbero una nuova (importante) quota di mercato costituita da ex fruitori della pirateria redenti. Una cosa è certa, in questa guerra miliardaria non deve rimetterci la libertà di espressione così ben rappresentata dal web, in particolare dal cosiddetto Web 2.0.
La pensa così anche il presidente USA Barak Obama che sabato 14 gennaio, in un comunicato ufficiale della Casa Bianca, ha dichiarato che, pur affermando che la pirateria online vada combattuta con una seria risposta legislativa, non sosterrà l’approvazione del SOPA e nessun altra legge analoga che limiti la libertà di espressione, il dinamismo e l’innovazione del web a livello mondiale, aumentandone anche i rischi in materia di cyber security (come professionista di sicurezza dovrei soffermarmi sull’aspetto della cyber security, ma ciò richiederebbe un articolo apposito, perciò per il momento sono costretto a sorvolare e a fornire un semplice link, ndr). Murdoch ha risposto con un feroce attacco perpetrato dal suo account Twitter (proprio uno dei social media da lui condannati) contro Obama, reo di supportare i “pirati della Silicon Valley” (i colossi della NetCoalition), e contro Google, accusato di essere il “leader della pirateria online”.
Verrebbe da esclamare “quanta ignoranza!” nell’ascoltare queste accuse, ma dietro c’è dell’altro. Per carità, non sostengo assolutamente che i colossi del web siano immacolati, viste le numerose testimonianze sulle misure di censura da questi attuate, bloccando contenuti e account sulla sola base di rivendicazioni non comprovate degli utenti, di società private o delle lobby stesse, a volte rendendosi complici di interi governi (Cina, Iran, Vietnam, Egitto, Arabia Saudita, Tunisia, Siria, ecc.). Ma il concetto di puntare il dito contro i provider, i motori di ricerca e i social media invece che accertare i veri colpevoli e perseguirli come si deve è assolutamente sbagliato alla radice. È come se una persona che viene scippata da un tizio che guida uno scooter invece che denunciare il furfante che era alla guida chiedesse, ed ottenesse immediatamente senza passare per un tribunale, che la Piaggio non venda più scooter fino a nuovo ordine. Paradossale, no?
Ad alimentare ancora di più l’evidente paradosso, ecco che arriva l’esilarante caso del proponente del SOPA, il deputato repubblicano Lamar Smith, colto in flagrante violazione della proprietà intellettuale per aver utilizzato, sul suo sito personale, un’immagine soggetta a copyright senza autorizzazione. Se la SOPA fosse stata già legge, il suo sito sarebbe stato oscurato e lo zelante deputato sarebbe stato inibito dal pubblicare sul web fino a data da destinarsi. La terribile gaffe commessa contribuisce a dimostrare la scarsa applicabilità della SOPA e il grave errore concettuale sul quale essa si fonda. Qualcuno a questo punto potrebbe dire “perché mai dovrebbe interessarmi una legge di censura negli Stati Uniti?”. Per diversi motivi, primo fra tutti il fatto che la quasi totalità dei grossi provider, servizi di hosting, motori di ricerca e social media ha sede negli Stati Uniti, perciò oscuramenti e censure avrebbero effetti globali e non limitati agli USA. E poi perché noi italiani abbiamo da decenni la cattiva abitudine di copiare spesso gli americani, soprattutto nelle cose più negative, e questo sarebbe un pericoloso precedente da cui attingere. A dire il vero in Italia ci sono già stati analoghi tentativi da parte di AGCOM con la bozza di delibera 668/2010 e da parte del governo con il DDL Intercettazioni, con l’ex ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri a definire il web come “uno strumento micidiale“. Molto probabilmente l’appuntamento è solo rimandato.
Ma voglio andare oltre. Se a pensar male si fa peccato ma raramente si sbaglia, voglio proporvi il mio pensiero sull’origine della vicenda SOPA/PIPA. La pirateria online non è mai stata un problema così insormontabile per le grandi lobby della comunicazione, già largamente multimiliardarie. Oltretutto diversi studi dimostrano che la spesa in contenuti multimediali delle famiglie e in particolare delle giovani generazioni non è diminuita. La pirateria, in varie forme, c’è sempre stata e combatterla non porterebbe ad un aumento apprezzabile dei profitti per l’industria della comunicazione multimediale.
La scusa di combattere la pirateria potrebbe nascondere un altro obiettivo molto più pericoloso: abbattere la libertà di espressione sul world wide web, l’ultimo vero baluardo della libera informazione. Televisioni, giornali, agenzie di stampa, notizie, film, musica: tutto ciò è già saldamente in mano delle lobby che ne controllano globalmente i canali di informazione. L’informazione mainstream viene veicolata interamente attraverso le emittenti e le case editrici di proprietà delle lobby della comunicazione, che decidono cosa deve essere detto e cosa deve essere omesso. Tanto che la verità che viene raccontata all’opinione pubblica è esclusivamente quella che è stata accuratamente decisa dietro le quinte.
Tutte le fonti di informazione minori, l’informazione alternativa e la preziosissima controinformazione sono ormai pressoché relegate sul web, sui blog e sui social network. Strumenti potentissimi che consentono di diffondere informazioni in maniera rapida, capillare ed efficace, pur con l’handicap dell’ancora troppo presente digital divide. Senza queste fonti l’opinione pubblica sarebbe tuttora all’oscuro di inganni globali, di scandali politici ed elettorali, del vero volto delle guerre e del terrorismo, dei crimini economici e finanziari e di molto altro ancora. Tutto ciò, insomma, che le fonti mainstream si sono ben guardate dal raccontare e che ancora oggi continuano a negare difendendo strenuamente le versioni ufficiali decise a tavolino. Ecco a chi giova veramente l’introduzione della censura sul web, non certo al singolo privato cittadino.
Molti, troppi sostengono che le fonti di informazione web non sono verificate e, di conseguenza, non possono essere giudicate attendibili. Probabilmente gli stessi che si sorbiscono tranquillamente le informazioni ufficiali dando per scontato che siano veritiere, verificate e attendibilissime. Il sentore popolare si può riassumere in due frasi ricorrenti: “se lo dicono in TV sarà vero” e “in Internet si trova di tutto”. Classici luoghi comuni.
È fondamentale comprendere che è in grave pericolo la libertà di espressione sul web e che il suo abbattimento significherebbe distruggere l’ultimo bastione di difesa contro il monopolio globale dell’informazione di massa. Combattere SOPA e PIPA significa combattere un disegno molto più ampio, ovvero l’ottenimento del controllo totale delle fonti di informazione. Se ciò avverrà, potremo ascoltare e leggere solo ciò che i poteri globali vorranno raccontarci, coprendo o manipolando opportunamente le notizie sconvenienti e diffondendo solo ciò che è funzionale al loro profitto. E purtroppo non solo a quello.
Ettore Guarnaccia
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