Censorship, World Wide Web

Caso MegaUpload: le lezioni della Copyright War

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Giovedì 19 gennaio un’azione congiunta di FBI, Dipartimento di Giustizia e IPR Coordination Center degli Stati Uniti ha portato al sequestro e alla chiusura di ben 13 domini di file sharing (tra cui i più famosi sono megaupload.com e megavideo.com) nonché all’arresto del proprietario Kim Schmitz (alias “KimDotCom”) e di altri sei rappresentanti avvenuto ad Auckland in Nuova Zelanda con la collaborazione di diverse forze di polizia internazionali. L’accusa che ha portato all’azione di forza è di cospirazione a scopo di racket, riciclaggio di denaro sporco e violazione del copyright, oltre a quella di aver causato danni per un ammontare di 500 milioni di dollari all’industria discografica e cinematografica per la mancata vendita di film, musica e altri contenuti. Secondo le dichiarazioni ufficiali, gli arrestati rischiano fino a 50 anni di detenzione.

 

Il rinvio di SOPA e PIPA

Questa operazione ha preceduto di pochissimo l’annuncio del rinvio sulla discussione delle proposte di legge SOPA e PIPA presso il Congresso USA. Mentre la valutazione di quest’ultima, a detta del senatore Harry Reid, è stata rimandata a tempo indeterminato, la SOPA, stando alla dichiarazione del deputato proponente Lamar Smith, verrà prossimamente rivalutata e rivista nei contenuti. Non è da escludere che le lobby della comunicazione attendano di trovare una modalità più silente e un momento più propizio per riproporre e far approvare le norme senza attirare l’attenzione dei media. In tal senso Smith ha dichiarato di voler “attendere finché non sarà raggiunto un più ampio consenso sulla soluzione”.

 

Le lezioni impartite dal caso Megaupload

L’operazione Megaupload, nel frattempo, insegna alcune importanti lezioni. Prima fra tutte, che non è necessario attendere l’approvazione di leggi come SOPA e PIPA per assistere alla chiusura di provider accusati di ospitare contenuti illegali. Basta un’azione di forza dei soliti (arroganti) enti governativi statunitensi ed ecco che l’ingiustizia è servita. Non che il caro vecchio Kim Schmitz fosse un santo, anzi! Si tratta, infatti, di un ex pirata informatico, condannato più volte per diverse tipologie di reato come furto di informazioni riservate e dati bancari, aggiotaggio, insider trading, appropriazione indebita, frode informatica e ricettazione, diventato miliardario spennando la gente con operazioni finanziarie spietate e criminali.

L’ingiustizia è costituita dalla chiusura generale del servizio di hosting senza andare a colpire o sanzionare i singoli utenti che gestivano illegalmente, tramite esso, contenuti audiovisivi infrangendo il copyright, operazione peraltro fattibile mediante collaborazione con i proprietari arrestati e più volte da essi offerta in passato. In questo modo sono stati fortemente penalizzati tutti gli utenti che utilizzavano legalmente il sito, in particolare i proprietari di account premium che avevano pagato per il servizio anche 200 euro ciascuno. Basta fare una ricerca su Twitter per vedere quanti sono gli utenti che utilizzavano il servizio per scambiare file a scopo lavorativo o personale e che, di colpo, senza aver infranto alcuna legge, si ritrovano i file sequestrati senza alcuna possibilità di accesso o recupero.

Questo insegna che l’utilizzo di servizi in cloud, sebbene per scopi totalmente legittimi, non può ancora essere considerato sicuro, quantomeno sotto l’aspetto della disponibilità dei contenuti, come conferma via Twitter anche il famoso hacker Kevin Mitnick. Si corre il rischio, infatti, di vedere sequestrati in un batter d’occhio e senza preavviso tutti i propri file caricati online solo perché un utente del medesimo servizio è accusato di aver infranto copyright o di aver commesso altre tipologie di crimine. Sebbene la pratica del file sharing sia assolutamente legale, quindi, non vi è alcuna garanzia che il servizio di hosting sia assicurato senza interruzioni o, peggio, sequestri esecutivi senza distinguere fra contenuti legali e illegali.

L’altra importante lezione che questo evento ci insegna è che la sacrosanta protezione della proprietà intellettuale (mai messa in discussione) richiede nuove idee e nuove tecnologie. È necessario ripensare tutto il sistema di difesa del copyright usando la testa e non la forza bruta. La tecnologia lo permette già ma ciò che attualmente manca sono le idee e la volontà degli organi governativi e delle lobby della comunicazione di impegnarsi seriamente e correttamente in questa guerra alla pirateria.

Le lobby non hanno capito (o non vogliono capire) che il servizio di hosting è un mero contenitore digitale, un cosiddetto “cyberlocker”, analogo ad una cassetta di sicurezza di un istituto bancario: non è mai stata chiusa e posta sotto sequestro una banca solo perché ospitava nelle proprie cassette di sicurezza valori rubati. Né tantomeno è possibile ottenere che una banca verifichi il contenuto di tutte le proprie cassette di sicurezza per accertare che non vi siano contenuti illegali. Anche i precedenti storici più eclatanti, come la chiusura di Napster e di The Pirate Bay, hanno costituito per i pirati un’occasione per riorganizzare le forze e ritornare sul campo di battaglia ancora più forti ed agguerriti.

 

Le reazioni causate

A conferma di ciò, l’operazione Megaupload ha innescato la veemente reazione del gruppo Anonymous che ha subito attaccato diversi siti governativi, di RIAA e MPAA e di diversi altri enti collegati alle lobby della comunicazione nell’operazione “#OpMegaUpload”. Altra lezione: non è annientando un provider di file hosting che si sconfigge la pirateria: lo prova l’esistenza di numerosi altri provider di file sharing (es. FileServe, FileSonic, HotFile, UploadStation, DepositFiles, MediaFire, RapidShare, FileJungle, ecc.) che sono pronti a riempire da subito il vuoto lasciato da Megaupload, mentre quest’ultimo è già rinato sotto nuove sembianze e altri servizi analoghi sono in fase di rilascio.

 

Le conclusioni

In definitiva, emergono nettamente la presunzione e l’arroganza con la quale (ancora una volta) il governo USA agisce internazionalmente per difendere gli interessi dei poteri economici e finanziari, infischiandosene dei sacrosanti diritti degli utenti incolpevoli e senza intraprendere strade sicuramente più difficoltose ma quantomeno corrette, imparando dalle clamorose sconfitte precedentemente subite. Sono altrettanto evidenti sia la sostanziale inutilità di SOPA e PIPA per l’attuazione di azioni di forza come questa, sia la pressoché totale inefficacia delle azioni stesse in quanto non supportate da opportune idee e tecnologie.

 

Nota a margine

Giusto per citare un altro caso clamoroso di questi giorni, colpisce l’enorme differenza fra i 50 anni di detenzione che si intende comminare a Kim Schmitz e i soli 15 anni che rischia il comandante Francesco Schettino come responsabile del naufragio della Costa Concordia. Anche questo, purtroppo, insegna che infrangere diritti di proprietà intellettuale causando danni economici (presunti e tutti da verificare) a lobby già ampiamente multimiliardarie è enormemente più grave che causare una trentina di vittime (fra morti e dispersi) solo per soddisfare la voglia di pubblicità di una compagnia di navigazione.

 

Ettore Guarnaccia



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