Martedì 27 ottobre 2020 ho tenuto un intervento alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Padova nell’ambito della Winter School “Family Law and Technology” organizzata dal dipartimento di Tecnologia e Diritto Privato. La crescente rilevanza assunta dalla tecnologia e dagli strumenti digitali nell’ambito della vita familiare e dei procedimenti – tanto di diritto civile quanto di diritto penale – aventi ad oggetto rapporti di famiglia o minori e la posizione centrale acquisita dalla legislazione in materia di privacy richiedono una rinnovata attenzione, in una prospettiva multidisciplinare e trasversale, nei confronti dell’inscindibile legame creatosi tra diritto di famiglia e tecnologia. La Winter School ha come obiettivo quello di fornire ai partecipanti gli strumenti teorici e pratici più idonei ad operare nell’ambito del diritto di famiglia dell’epoca contemporanea. L’audience era composta da studenti di legge, avvocati e ricercatori nel settore della giurisprudenza.
La sessione, svolta insieme al Prof. Mauro Conti, professore associato di ingegneria informatica dell’Università di Padova, all’Ing. Corrado Pomodoro, partner associato e responsabile dell’area Information Risk Management di HSPI S.p.A., al Dott. Mattia Necchio e alla Dott.ssa Elisa Billato di Chisito S.r.l. (startup spin-off dell’Università di Padova), con la moderazione della Prof.ssa Avv. Elisa De Belvis, professore associato di diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza, era focalizzata sulle strategie di gestione della sicurezza informatica.
Il mio intervento, dal titolo “Strumenti di protezione dei dati personali: il GDPR nel contesto degli strumenti tecnologici” prevedeva una prima parte dedicata a una breve storia della privacy, dalle prime forme di civilizzazione, passando a XIX e XX secolo, fino ai giorni nostri. In seguito, ho parlato dell’importanza della riservatezza come misura di prevenzione di spiacevoli incidenti, poiché tutto ciò che rendi pubblico può essere usato contro di te, quindi della cessione inconsapevole di dati personali, ad esempio attraverso l’interazione con servizi online e social media (Facebook, Instagram, Google, WhatsApp), dati di cui viene ceduta la proprietà con l’accettazione di termini e condizioni d’uso e che, di conseguenza, possono legalmente essere utilizzati per i più svariati scopi.
Ho illustrato, poi, i possibili scenari di attacco che sfruttano la raccolta, l’analisi e la correlazione delle informazioni rese pubbliche dagli utenti: frodi finanziarie, furti di beni e mezzi, molestie, ricatti, diffamazione, danno d’immagine, estorsione, vendetta, adescamento, abuso e rapimento. Ho spiegato che la tecnologia non merita la nostra fiducia, ed è bene non affidarle i dati più sensibili della nostra vita, poiché essa è sviluppata e programmata dall’essere umano, quindi è fallibile, vulnerabile e, di conseguenza, violabile in qualsiasi momento. Una breve parentesi sulla crescente adozione dell’intelligenza artificiale, che per molti è sinonimo di avanzamento tecnologico, ma in realtà è una minaccia per l’incolumità in quanto anch’essa è fallibile, vulnerabile e violabile, inoltre non può essere delegata ad assumere decisioni di tipo etico che solo l’essere umano può assumere. Infine alcuni esempi di ciò che l’ostentazione e l’oversharing sui social media può causare, con casi di VIP che hanno capito sulla loro pelle quali rischi sorgono nel mettere tutta la propria vita online.
Quindi l’importanza di rispettare la privacy altrui, quando si producono contenuti che ritraggono altre persone o si condividono informazioni che riguardano altri soggetti, senza ottenere il loro consenso esplicito. Una di queste forme è rappresentata dallo sharenting, la pratica in crescente diffusione che vede i genitori condividere foto, filmati e informazioni sui propri figli fin dalla nascita, se non prima. Molti influencer e youtuber propongono un esempio pubblico in questa direzione, inducendo molti giovani genitori a violare il diritto fondamentale alla privacy dei propri figli pur di ottenere apprezzamento e riconoscimento sui social media. Questo origina due problemi: il riutilizzo delle immagini dei figli nei circuiti di pedofilia e pedopornografia, e il crescente numero di cause intentate dai figli contro i propri genitori, rei di aver pubblicato contenuti e informazioni sulla loro vita fin dalla nascita e in qualsiasi situazione, anche le più imbarazzanti, senza il loro consenso e rovinando la loro immagine pubblica. Le prime sentenze che condannano i genitori a sanzioni e misure riparatorie sono già state pronunciate negli ultimi 3 anni.
Di seguito la presentazione utilizzata nell’intervento:
Ringrazio l’Università di Padova, in particolare la prof.ssa avv. Elisa De Belvis, per il graditissimo invito e con la speranza di poter collaborare ulteriormente a nuove iniziative in futuro.