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Dal sexting al revenge porn: Cinzia Ercolano mi intervista per Women for Security

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Cos’è il sexting e quanto è diffuso nelle giovani generazioni? Cosa si intende per sextortion? In che modo il sexting può sfociare nel reato di revenge porn? Cinzia Ercolano, fondatrice della community Women for Security, mi ha intervistato in una video-pillola per fare luce su questi fenomeni sempre più diffusi nell’era digitale.

Cos’è il sexting e come viene vissuta la sessualità nell’era digitale?

Il sexting è una delle manifestazioni del sesso virtuale e si concretizza attraverso lo scambio di immagini a sfondo sessuale fra due o più soggetti, tipicamente attraverso strumenti di messaggistica istantanea, come WhatsApp, Snapchat, Discuss o i Direct di Instagram, che possono agevolare la diffusione incontrollata dei contenuti, oppure utilizzando strumenti di videochat, che possono essere facilmente registrati, conservati e resi pubblici.

La sessualità vissuta attraverso il digitale è ormai un fenomeno naturale per i giovani delle nuove generazioni, che inizia già intorno agli 11 anni e cresce inesorabilmente fino alla maggiore età e oltre. Oggi si stima un’incidenza di quasi il 10% nella fascia 11-13 anni e un 20-25% nella fascia 14-19 anni.

Una così grande diffusione del sexting, soprattutto fra i giovani, è dovuta a diversi fattori, fra i quali l’accesso precoce alla pornografia, la diffusione dell’utilizzo di videochat e chat roulette a sfondo sessuale come conseguenza di lockdown, isolamenti e DAD, e il pessimo esempio fornito da VIP e personaggi famosi del mondo dell’intrattenimento che in larga parte sono stati oggetto di fughe di contenuti a sfondo sessuale. Tutto questo ha reso normale la pratica di riprendersi in situazioni di nudità o di sesso esplicito. Poi la forte sessualizzazione di social frequentatissimi dai più giovani, come Instagram e soprattutto TikTok, ha normalizzato l’esibizione del proprio corpo e il riferimento sessuale nei contenuti pubblicati, rendendola una tendenza molto diffusa.

Quando il sexting diventa revenge porn?

Il sexting, già di per sé, rappresenta un rischio elevatissimo per chi lo commette, perché comporta il riporre cieca fiducia nei destinatari di contenuti altamente compromettenti per la reputazione e l’immagine pubblica dell’interessato o interessata. Una volta che questi contenuti, tipicamente foto o filmati, escono dalla propria sfera privata, l’interessato ne perde totalmente il controllo, mentre chiunque ne entri in possesso, anche solo temporaneamente, può scaricarli, salvarli, ricaricarli, condividerli, scambiarli, inoltrarli, pubblicarli, modificarli e farne qualsiasi altra cosa senza che l’interessato possa intervenire né tantomeno esserne a conoscenza.

L’eccezionale efficienza e la rapidità di diffusione garantita dai social media e dai circuiti di messaggistica possono rendere i contenuti virali in poche ore, proponendoli a milioni di persone in tutto il mondo, distruggendo la reputazione dell’interessato. Inoltre, dal sexting possono originarsi due fenomeni altrettanti pericolosi: il revenge porn e il sextortion.

Si parla di revenge porn quando il contenuto compromettente scambiato viene condiviso da uno dei destinatari originari con altri soggetti a scopo di vendetta o di ritorsione, con l’obiettivo di umiliare e danneggiare l’interessato. Solitamente ciò avviene a fronte dell’interruzione di una relazione sentimentale, della rottura di un’amicizia o di uno stupido scherzo. Si parla invece di sextortion quando l’obiettivo è il ricatto sessuale, la minaccia dell’interessato affinché acconsenta a soddisfare precise richieste. Purtroppo, le leggi vigenti, fra le quali la recente legge 19 luglio 2019 n. 69, cosiddetta “Codice Rosso”, si sono rivelate inefficaci nel prevenire e nel mitigare gli effetti di questi fenomeni.

Dallo scherzo al reato: come riconosco il limite nella condivisione di contenuti sessualmente espliciti non miei?

Il limite, a mio avviso, è uno solo, chiaro e preciso: non solo non bisogna condividere questi contenuti con altre persone, né conservarli nel proprio smartphone, ma non bisogna nemmeno produrli. Questo perché il fenomeno comporta due forme di fiducia, quella nelle persone destinatarie dei contenuti e quella nella tecnologia che li conserva. Così come le persone possono tradire la fiducia dell’interessato a fronte di vendette o ricatti, allo stesso modo la tecnologia, la piattaforma social, lo strumento di messaggistica, può essere fallace, vulnerabile o violato, uno smartphone può essere smarrito, sottratto, violato o infettato da malware di vario genere, quindi da un momento all’altro quei contenuti possono comunque diventare pubblici anche senza una precisa volontà dei destinatari originari. Si sente sempre più spesso parlare di violazioni dei social e dei servizi di messaggistica istantanea, non è una possibilità così remota. I contenuti privati, soprattutto se particolarmente compromettenti, se proprio si vuole produrli a ogni costo, devono restare in un ambito strettamente privato.

Perché non posso ritirare il contenuto prodotto dal web?

Perché, molto semplicemente, il web non dimentica.

Le piattaforme social e di messaggistica fanno business sui dati prodotti dagli utenti e questi dati vengono conservati per un tempo più o meno prolungato, vengono analizzati, riutilizzati, rivenduti, ceduti in licenza e molto altro. Le condizioni e dai termini d’uso, che quasi nessuno si sofferma a leggere, prevedono espressamente che i dati scambiati attraverso la piattaforma diventano di proprietà della piattaforma stessa, che ne può fare praticamente ciò che vuole senza dover chiedere alcun ulteriore consenso all’utente.

E poi ci sono le azioni degli utenti che, come detto, possono scaricare, salvare, scambiare, condividere, ricaricare, inoltrare, ripubblicare e modificare i contenuti, senza che l’interessato possa in alcun modo contrastarli né tantomeno esserne al corrente. Questo è un aspetto cruciale troppo spesso sottovalutato dalle azioni di contrasto ideate dai governi, in particolare sotto forma di leggi che risultano all’atto pratico inattuabili, perché prevedono la rimozione dei contenuti a fronte di denuncia dell’interessato verso la piattaforma in cui sono stati pubblicati per la prima volta. Ma nel frattempo essi si sono già diffusi su altre piattaforme, altri supporti e altri circuiti di condivisione, inclusi ambienti P2P e underground, come gli ambienti della pornografia e, nel caso dei soggetti più piccoli, della pedofilia.

Ripeto, il web non dimentica, per questo è meglio non produrre questi contenuti, non conservarli e non scambiarli con nessuno. È indispensabile investire in cultura, consapevolezza ed educazione sessuale, anche attraverso iniziative importanti come questa di Women for Security. Questo tema, insieme a molti altri relativi ai rischi di un uso non consapevole del digitale, è trattato e spiegato approfonditamente all’interno del mio ultimo libro “La tragedia silenziosa” che illustra come il digitale stia plasmando e minacciando le nuove generazioni ed è disponibile per l’acquisto su Amazon o nel mio negozio.

Grazie infinite a Cinzia Ercolano e a Women for Security per la splendida intervista.


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