Molte persone devono ancora comprendere cosa si intende per Web 2.0 o, peggio ancora, la fondamentale differenza fra Web e Internet, che già si parla di Web 3.0. Non ne esiste, però, una definizione univoca, perché ancora oggi gli esperti e guru del settore ne danno differenti interpretazioni e ciascuno ha una sua idea su come sarà il Web 3.0. Ma facciamo prima un passo indietro.
Web 1.0 e Web 2.0
La prima versione del World Wide Web, il cosiddetto Web 1.0, era caratterizzata dalla staticità dei contenuti e dalla passività degli utenti: le informazioni, sotto forma di documenti ipertestuali, venivano pubblicate in forma statica dal webmaster del sito, la comunicazione avveniva in maniera unidirezionale, la ricerca dei contenuti avveniva solo tramite motori di ricerca e l’interazione fra sito e visitatori era pressoché nulla. Il principale mezzo di interazione, infatti, era costituito dalla posta elettronica. Ancora oggi buona parte degli utenti del Web sono abituati a questo tipo di navigazione.
Un bel giorno, alla Web 2.0 Conference organizzata da O’Reilly Media alla fine del 2004, il fondatore e CEO Tim O’Reilly, uno dei sostenitori del movimento Free and Open Source Software, lanciò il termine “Web 2.0” con specifico riferimento ad un insieme di cambiamenti nell’uso del Web da parte degli sviluppatori e degli utenti finali. Dal canto suo, Tim Berners-Lee, colui che inventò il World Wide Web nell’ormai lontano 1991, non riconobbe questa definizione: in un’intervista del 2006 classificò il termine Web 2.0 solo come un’espressione in gergo senza particolare significato, dato che, nella sua visione pionieristica, il Web era stato da sempre inteso come strumento di interazione e collaborazione fra persone, fin dalla sua nascita.
In ogni caso, oggi con il termine Web 2.0 si intende una nuova forma di interazione fra utenti del Web in cui i contenuti non sono più generati solo unilateralmente dall’autore, bensì modificati, integrati e ampliati grazie all’apporto dei visitatori. Il contestuale aumento della banda media a disposizione degli utenti ha consentito di investire in nuove tecnologie di sviluppo e di gestione dei contenuti e ciò ha favorito la nascita dei sistemi di Content Management System (CMS) e l’avvento dei cosiddetti Social Media.
Wikipedia (2001), YouTube (2005), Facebook (lanciato nel 2004 nelle sole università USA, ma aperto a tutto il mondo nel 2006), Twitter (2006), uniti a tutti gli altri social media, ai blog, ai forum, ai feed RSS e al sistema di tagging, hanno letteralmente cambiato il World Wide Web e il modo degli utenti di farne parte. Oggi il Web è fatto di partecipazione diretta, scambio e condivisione di contenuti in tempo reale, socializzazione, reti non più costituite da soli computer bensì da persone reali, contenuti generati dagli utenti stessi e un sempre più marcato rifiuto della navigazione passiva.
Web 3.0, questo sconosciuto
Nel 2004 c’era una certa confusione sul reale significato del termine Web 2.0, perché non ne erano ancora chiari i contorni e le caratteristiche, né tantomeno si poteva immaginare cosa questo avrebbe realmente comportato per sviluppatori e utenti. Oggi, a distanza di qualche anno, tutto è finalmente abbastanza chiaro. Per gli stessi motivi, oggi c’è molta confusione sul reale significato del termine Web 3.0. Si parla di nuove tecnologie, di nuovi meccanismi e di nuove modalità di interazione fra utenti e contenuti, ma come queste si traducano in una tangibile modificazione del Web e, di riflesso, del comportamento degli utenti, è ancora tutto da definire.
Gli esperti e i guru del Web hanno già formulato, però, diverse ipotesi e molte proposte di evoluzione del Web così come attualmente lo conosciamo, frequentiamo e usiamo. In sintesi, il Web 3.0 sarebbe caratterizzato dalla semantica dei contenuti, dal collegamento dei dati grazie a meta informazioni e tramite appositi standard di classificazione, da grafica vettoriale scalabile (SVG) anche tridimensionale e, infine, dall’avvento di una qualche forma di intelligenza artificiale. Stavolta anche Tim Berners-Lee concorda almeno in parte, poiché inserisce il Web Semantico fra le componenti del futuro Web 3.0.
Le tecnologie per supportare questa visione del Web sono pronte solo in parte e molto deve essere fatto anche per l’aumento della disponibilità di banda, tenendo conto che l’accesso alla rete Internet è ancora oggi prerogativa del solo 30% della popolazione mondiale, prevalentemente concentrata nei paesi cosiddetti occidentali. Se la tecnologia SVG è già disponibile, al momento il Web è solo meta sintattico con molti dati collegati fra loro ma senza alcuna indicazione dei relativi significati semantici. La nascita dei primi spazi virtuali tridimensionali come Second Life consente di avere già una qualche idea di come potrebbe essere l’evoluzione nell’interazione fra utenti e nell’accesso di questi ultimi ai siti di prossima generazione.
Uno sguardo al futuro
Nelle previsioni più spinte, il Web 3.0 dovrebbe costituire una sorta di separazione virtuale fra il mondo online e quello offline, per la maggior parte di noi quello reale. Il nostro personal computer ricorderà tutto di noi, gusti, interessi e preferenze, mentre il browser diventerà il nostro assistente personale. Questo sarà possibile grazie all’avvento della semantica dei dati, al perfezionamento dei meta linguaggi, alla classificazione delle informazioni e all’introduzione di un’intelligenza artificiale in grado di collegare il tutto e di svolgere la maggior parte del lavoro di ricerca e accesso alle informazioni al posto dell’utente.
Nella visione di Berners-Lee, le macchine potranno leggere e comprendere le pagine web esattamente come farebbe un essere umano, mentre motori di ricerca evoluti e agenti software di nuova generazione cercheranno in tutto il Web e troveranno esattamente ciò che cerchiamo. Con enormi benefici per l’utente nella ricerca di informazioni in base al contesto, alla localizzazione geografica e al significato attinente dei contenuti ricercati, con una forte riduzione del rumore di fondo nelle informazioni, organizzando e filtrando il caos oggi esistente nei contenuti distribuiti e nei risultati delle ricerche.
La forte espansione della mobilità nell’uso di Internet e del Web ci consente già di prevedere come sarà l’accesso alle informazioni in futuro: grande mobilità e possibilità di mantenere l’ubiquità della Web presence grazie ai dispositivi mobili come cellulari, iPAD, smartphone, console, ma in un futuro molto prossimo anche a oggetti più personali come orologi, occhiali e capi d’abbigliamento.
Che ne sarà della privacy?
La connessione costante e itinerante, insieme agli agenti software che impareranno tutto su di noi osservando le nostre attività e archiviando gusti, preferenze, interessi e comportamenti, costituirà una terribile minaccia alla privacy degli utenti. Tutto ciò potrebbe intaccare l’equilibrio sempre più difficile fra la privacy individuale e il beneficio di avere un’esperienza di navigazione personalizzata, più emozionante e soddisfacente. Molti, infatti, si lanceranno fra le braccia del Web 3.0 senza considerare le ripercussioni sulla riservatezza e i numerosi rischi che ne conseguono.
Se così fosse, fenomeni come il Social Media Marketing potrebbero evolvere nel Web Marketing a 360 gradi, con agenti software che, oltre ad utilizzare quanto imparato su di noi per migliorare le nostre esperienze, potrebbero dirottare quanto imparato verso altri usi non propriamente personali. Per la serie: leggere attentamente le condizioni commerciali prima dell’uso. Anche tecniche di inquinamento dei dati analoghe al Social Media Poisoning potrebbero evolvere in nuove forme di contaminazione delle informazioni volte a disorientare l’intelligenza artificiale del futuro Web indirizzandola verso risorse e contenuti specifici per svariati interessi commerciali, finanziari o politici. Questo grazie anche ai limiti intrinseci dell’intelligenza artificiale che non potrà mai emulare la logica, l’imprevedibilità e l’irrazionalità della mente umana, a meno che non si evolva anch’essa in una IA 2.0.
Un differente punto di vista
Si parla di Web 3.0 quando ancora molta gente non ha capito nemmeno il Web 1.0 e moltissima altra gente partecipa quotidianamente al Web 2.0 senza un briciolo di consapevolezza e in maniera largamente futile e improduttiva. Si parla di dare un nuovo cervello pensante al Web, quando di un nuovo cervello dovrebbero essere dotati innanzitutto gli utenti, affinché imparino ad usare i potenti mezzi del Web 2.0 per agire in maniera utile a sé stessi e alla società, per avviare quei cambiamenti positivi di cui abbiamo urgente necessità, per essere essi stessi il cambiamento pacifico e spontaneo che inconsciamente desiderano.
Cambiamento che deve avere come presupposto la costruzione e non la distruzione. Non tramite iniziative contro la guerra, contro l’ingiustizia, contro il potere finanziario corrotto, contro i complotti, contro le scie chimiche, contro questo e contro quell’altro. Essere “contro” significa combattere, essere in contrapposizione, scendere in guerra contro qualcosa, giusta o sbagliata che sia. Questo tipo di sentimento, per quanto plausibile sia, mantiene pur sempre un forte carattere negativo.
Il vero cambiamento deve essere positivo, improntato all’edificazione, all’evoluzione sociale, culturale e spirituale. Innanzitutto immaginando e desiderando come vorremmo che fosse un mondo migliore, come vorremmo che fosse la società e, soprattutto, come vorremmo essere noi stessi. Senza focalizzare la nostra attenzione sul lato oscuro, ma desiderando e contribuendo a creare intenzionalmente e consapevolmente ciò che intimamente vogliamo. Così facendo, potremo creare un ambiente inospitale per tutte quelle cose che prima ritenevamo di dover combattere, causandone automaticamente l’inevitabile collasso, senza colpo ferire.
Il Web è indubbiamente uno strumento potentissimo che consente di supportare tutte quelle abilità di comunicazione, relazione e partecipazione di cui l’essere umano dispone fin dai tempi antichi e che negli anni ha sempre più dimenticato. Abbiamo perso gran parte della nostra consapevolezza e abbiamo disimparato a pensare con la nostra testa, ecco perché sentiamo l’esigenza di un’intelligenza artificiale.
Personalmente concordo abbastanza sulla definizione coniata da Nova Spivack che identifica il Web 3.0 come il Web 2.0 più un cervello, ma sarò pienamente d’accordo con lui solo se il cervello sarà quello della gente, degli utenti, delle persone, non quello delle macchine.
Ettore Guarnaccia
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