Sono rarissime le occasioni di incontrare un rappresentante della Generazione Z con uno spiccato interesse verso il tema degli effetti dei social media e del digitale sulla società, in particolare sulle nuove generazioni. Oggi ne ho avuta una splendida: Ester Radici, studentessa del corso di Cyber Risk Strategy and Governance del Politecnico di Milano e della Bocconi, mi ha chiesto un’intervista per raccogliere il mio punto di vista sui temi della dipendenza dai social nei giovani e le strategie formative per insegnarne un uso corretto, in funzione della stesura della sua tesi magistrale.
Ovviamente ho accettato con entusiasmo e ho scoperto, con piacere e anche un po’ di stupore, che non tutti i giovani si abbandonano acriticamente all’uso futile e ludico del digitale, ma c’è chi si distingue dalla massa, si pone delle domande e vuole andare a fondo di tanti aspetti fondamentali su ciò che si nasconde dietro la facciata variopinta di social, app e videogiochi, nonché dell’imminente metaverso. I temi trattati nel corso dell’intervista sono così importanti che ho deciso, in accordo con Ester, di pubblicarne una trascrizione sommaria a beneficio di chi vuole approfondirli.
Buona lettura!
TRASCRIZIONE DELL’INTERVISTA
SOCIAL MEDIA
Si può veramente parlare di effetti positivi sui social?
La nascita dei social è stata accompagnata dallo sbandieramento dei tanti vantaggi e benefici che essi avrebbero portato alla società. Fra questi, l’agevolazione della comunicazione, con amici, famigliari e colleghi, la costruzione di numerosi nuovi rapporti professionali, la condivisione rapida ed efficiente di informazioni, notizie, idee e immagini, la promozione efficace di prodotti e servizi, l’educazione e l’apprendimento, l’intrattenimento e molto altro ancora. Tutte funzionalità che hanno reso molto interessanti i social per il grande pubblico.
Diverse categorie di persone con disabilità e disagi psicologici paiono aver trovato particolari benefici in termini di interazione sociale, miglioramento delle comunicazioni, accessibilità a servizi, opportunità di impiego e la possibilità di promuovere cause e consapevolezza sui loro disagi. Eppure, fenomeni come la depressione, l’autolesionismo, i disturbi alimentari, la tendenza al suicidio e la tendenza all’isolamento sociale (Hikikomori) sono in costante aumento, soprattutto negli ultimi 15 anni, cioè proprio dall’avvento dei social media prima e di smartphone e tablet subito dopo. Oggi, nel mondo occidentale, un giovane su 4 soffre di disturbi psicologici. Non è un caso.
Il problema è che molti di questi benefici si sono rivelati false promesse e il loro valore è effimero. Ad esempio, la comunicazione digitale intermedia di fatto la comunicazione tra esseri umani e la priva di elementi vitali come il contatto oculare, il tono della voce, il linguaggio del corpo, le reazioni, ecc. I social consentono di creare numerose relazioni in termini di contatti, amicizie e follower, ma in fondo, quante di queste sono reali? Probabilmente un numero che si avvicina molto al Numero di Dunbar (150 secondo la Social Brain Theory), tutte le altre sono assolutamente false e insignificanti. Anche l’educazione stessa risente fortemente dell’avvento dei social: le ultime due generazioni (Z e Alpha) nate e cresciute con i social a portata di mano dimostrano enormi difficoltà di apprendimento, sono aumentati i problemi di dislessia e discalculia, così come il deficit di attenzione e l’evidente carenza di senso critico e capacità di analisi. Problemi che riscontriamo anche nel resto della società moderna.
Come potrebbe intervenire lo Stato contro gli effetti negativi che queste piattaforme generano?
Credo sia troppo tardi, il divario tra l’evoluzione della tecnologia digitale e la consapevolezza umana è talmente enorme che sarà molto difficile annullarlo. Lo Stato avrebbe dovuto preoccuparsi molto prima di questi fenomeni, fin dall’avvento dei social e dei dispositivi digitali e la successiva diffusione di massa. Avrebbe dovuto farsi carico di preparare il pubblico a un avvento così importante, forse devastante se vissuto senza alcuna preparazione, magari attraverso chiari messaggi di avvertimento, dibattiti e, soprattutto, creando un programma ministeriale di accrescimento di competenze e consapevolezza indirizzato al mondo della scuola. Invece siamo stati lasciati soli a sperimentare l’uso dei social e del digitale, attraverso il metodo “trial and error” (sbaglia e impara). Purtroppo, non sempre gli errori commessi nel mondo digitale sono rimediabili e possono avere conseguenze veramente devastanti per alcuni soggetti. Si pensi ad esempio a fenomeni come il sexting, il revenge porn, il cyberbullismo, l’adescamento, la dipendenza, ecc.
Qual è secondo lei l’obiettivo dei social?
La risposta a questa domanda è molto semplice: l’unico obiettivo dei social, così come dei dispositivi digitali, è sempre stato uno, il business, cioè fare soldi. Ci sono stati proposti come scoperte tecnologiche in grado di migliorare la vita delle persone, e inizialmente l’idea di molti sviluppatori di Silicon Valley era molto vicina a questo obiettivo. Purtroppo, quasi subito l’etica è stata accantonata a favore del business. Lo confermano le esternazioni di diversi esponenti delle Big Tech, come illustrato nel documentario “The Social Dilemma” (che è comunque non esaustivo, a mio avviso) e come raccontato da Justin Rosenstein (ex Google e Facebook, inventore del like), Tristan Harris (ex Google), Justin Santamaria e Chris Marcellino (ex Apple, inventori delle notifiche), Loren Brichter (ex Twitter, inventore del pull-to-refresh), Chamath Palihapitiya (ex VP di Facebook, che ha denunciato la riprogrammazione della mente degli utenti e la deviazione delle decisioni), e da scrittori come Nir Eyal (“Hooked“, consulente delle Big Tech) e Roger McNamee (“Zucked“, che ha descritto le terribili e inattese conseguenze dei social di compagnie come Facebook e Google).
Oggi dispositivi, social, app e videogiochi vengono sviluppati appositamente per catturare efficacemente l’attenzione degli utenti e mantenerli il più possibile incollati al display, perché è attraverso questa interazione che i produttori fanno soldi (pubblicità, acquisti in-app, ecc.). Così sono nati fenomeni come gamification del gioco d’azzardo e gamblification di social, app e videogiochi, per rendere il tutto indistinguibile e poter sfruttare al massimo i meccanismi neurologici che prendono in ostaggio la mente degli utenti e la loro attenzione, tanto che oggi si parla di “attention economy”.
Perché nessuno, tra i più giovani (11-18) e anche i più grandi, si fa delle domande sui social?
Semplicemente perché ci hanno addestrati a non pensare, a subire passivamente ciò che ci viene proposto. L’intelligenza si è spostata sempre più dall’essere umano alla tecnologia, così oggi abbiamo moltissime tecnologie smart e, nel frattempo, gli utenti sono diventati sempre più incapaci di pensare, analizzare, usare il senso critico. Come società nel complesso siamo stati preparati da decenni di televisione, dalla quale politici, giornalisti ed esperti appositamente selezionati, adottando modalità di comunicazione idonee (come quando si parla a un bambino o a un soggetto mentalmente minorato). L’avvento dei social ha amplificato e diffuso questa modalità di comunicazione, grazie anche al fenomeno degli “influencer”, con il risultato di passare un messaggio molto chiaro: non cercare la verità, non porti domande, non approfondire, ci pensiamo noi a dirti come stanno realmente le cose, a difenderti da complottisti e fake news, a dirti quello che devi fare.
I giovani sono nati in un mondo impostato su questi principi e hanno i social in palmo di mano dalle 12 alle 16 ore al giorno, pertanto, sono maggiormente soggetti all’influenza di questi messaggi, li assorbono maggiormente e si conformano più facilmente ai dettami impartiti. Non hanno alcuna conoscenza né memoria del mondo com’era prima, né di tutte le battaglie svolte in passato per l’affermazione e il riconoscimento di diritti fondamentali e libertà individuali. La frammentazione dell’attenzione e i messaggi veicolati li stanno forgiando come esseri umani conformisti, acritici, perfette prede di trend demenziali e innaturali che corrompono la loro mente e deviano i loro comportamenti, totalmente votati all’esposizione di sé, all’emulazione altrui, alla ricerca dell’approvazione e del riconoscimento di perfetti sconosciuti, alla distruzione della propria identità umana a favore di un’identità digitale che è falsa, filtrata, artefatta, innaturale. Tutto questo comporterà un prezzo da pagare in futuro, a livello di società nel complesso.
Come esperto di cybersecurity, quali tipi di problemi alla cyber sicurezza potremmo incontrare con il trasferimento sempre più massivo della nostra vita su Internet?
Se escludiamo la cybersecurity in ambito aziendale e ci limitiamo a considerare l’ambito privato e personale, ovvero degli impatti sull’essere umano, i problemi possono essere diversi, alcuni dei quali potenzialmente devastanti per la salute mentale e l’incolumità fisica delle persone. Ad esempio, la perdita inesorabile del concetto di intimità personale e di riservatezza (privacy), sacrificate entrambe sull’altare dell’esibizione di sé, e della ricerca dell’apprezzamento e del riconoscimento altrui.
Oggi molti genitori, attraverso il loro comportamento, abituano i figli a stare davanti a una telecamera o una webcam per poi finire direttamente online e diventare quindi strumento di acquisizione di like, follower, visibilità e fama. Molti bambini finiscono online ancora prima della nascita, quando i loro genitori pubblicano online la loro prima ecografia, grazie all’esempio fornito da famosi influencer. Nel frattempo, sono apparse le prime cause genitori contro figli per la violazione della privacy senza il loro consenso.
Poi c’è l’effetto induttivo dei social che, favorito e supportato dalla forte carenza di capacità di analisi e senso critico, spinge moltissime persone a replicare acriticamente mode, tendenze, comportamenti e azioni veicolate dai social stessi. La diffusione di forme di espressione del disagio psicologico, come autolesionismo, disturbi alimentari e tendenza al suicidio, è amplificata e diffusa senza freno attraverso i social. Idem per quanto riguarda il fenomeno degli influencer, che sta plasmando intere generazioni, abituandole all’ignoranza, alla futilità, al cinismo, all’assenza di etica, all’abbandono di principi e valori a favore di apparenza, fama e, soprattutto, soldi e successo. Anche il mondo dell’intrattenimento ha un ruolo fondamentale in questa deriva sociale, attraverso la promozione di aspetti come fama, soldi, sesso, droghe e violenza mediante musica, televisione e serie TV. Questa spinta all’emulazione acritica si concretizza anche nel replicare azioni potenzialmente pericolose, talvolta anche mortali.
Poi ancora troviamo tutti i rischi legati alla sfera sessuale, a partire dalla tendenza alla creazione e alla diffusione di contenuti intimi e compromettenti con coetanei o addirittura con sconosciuti per finalità di vantaggio o di guadagno economico, con il rischio concreto che quei contenuti diventino pubblici da un momento all’altro, senza preavviso e con conseguenze devastanti per l’immagine pubblica e la reputazione della vittima. Poi ancora l’irresistibile spinta all’esposizione del proprio corpo, soprattutto su social come YouTube, Instagram e Tiktok, favorita da aziende senza scrupoli che sponsorizzano giovani inconsapevoli, soprattutto ragazze, per spingerle a creare contenuti nei quali indossano costumi da bagno, lingerie e abbigliamento da fitness, che lasciano ben poco all’immaginazione. La possibilità di guadagnare cifre importanti in età molto basse spinge molto di loro ad alzare continuamente l’asticella e, quindi, a proporre sempre maggiori contenuti e sempre più spinti. Per molte di loro il passaggio naturale è aprire il proprio canale su piattaforme ad abbonamento come OnlyFans o Patreon, oppure su piattaforme di videochat sessuali, con l’obiettivo di aumentare ulteriormente le entrate economiche. Il risultato è, ovviamente, la distruzione della loro reputazione, per sempre, perché il Web non dimentica e quei contenuti resteranno online a imperitura memoria. Per i più giovani, soprattutto preadolescenti e adolescenti, esiste anche il rischio di adescamento da parte di soggetti adulti che si spacciano per coetanei attraverso falsi profili social, con l’obiettivo di ricattare, incontrare fisicamente o addirittura rapire le loro vittime.
Poi c’è il tema della dipendenza patologica, che ormai è latente e diffusa in tutta la società, tanto che possiamo osservare comportamenti chiaramente riferibili a forme di dipendenza digitale. Si pensi, ad esempio, a cosa facciamo inconsapevolmente ogniqualvolta ci sediamo in una sala d’attesa, ci mettiamo in coda alla posta o saliamo su un mezzo pubblico. La dipendenza è artificialmente indotta attraverso app e videogiochi alle nuove generazioni, sfruttando meccanismi neurologici come quello della ricompensa variabile, pur di aumentare il tempo di interazione e di gioco, grazie all’introduzione del gioco d’azzardo nei videogiochi (gamblification) e al mascheramento del gioco d’azzardo da innocente videogioco (gamification). La dipendenza digitale ha generato comportamenti prevedibili indotti dai produttori, ma ha anche delle precise conseguenze dal punto di vista psicofisico. Dal punto di vista mentale, l’uso del digitale ha prodotto predisposizione ad altre forme di dipendenza, conformismo, passività, distaccamento dalla realtà, analfabetismo emotivo e apatia psichica. Ma ci sono effetti anche sul piano fisico, sotto forma di stati infiammatori dolorosi agli arti superiori, le spalle e il collo come frutto di modificazioni osteoarticolari (text neck), di aumento dell’incidenza di sedentarietà, obesità e miopia, e di peggioramento della qualità della vita, a causa dell’alterazione del ciclo sonno-veglia, dell’esposizione costante a radiazioni da radiofrequenza e dal sacrificio di attività primarie come alimentazione, riposo, igiene e studio.
Metaverso
Quali pensa possano essere gli effetti più disastrosi del metaverso sui ragazzi? E pensa che questa tecnologia colpirà solo loro o l’intera popolazione?
L’avvento del metaverso comporterà un’amplificazione esponenziale degli effetti che ho già descritto per i social media, sarà come essere risucchiati fisicamente e mentalmente dentro un enorme social media, con la spinta irresistibile dell’immersività della realtà virtuale che, grazie a strabilianti capacità elaborative e grafiche, la renderà pressoché indistinguibile dalla realtà reale. Come è già avvenuto per social media e dispositivi digitali, anche il metaverso verrà annunciato con la promessa di vantaggi mirabolanti, ma porterà anche pericoli terrificanti, di gran lunga superiori a quelli che stiamo sperimentando oggi. I giovani saranno i primi a sacrificare la loro integrità mentale e fisica pur di farne parte, ma, progressivamente, tutte le persone saranno costrette a entrarvi. Le basi per questo sono già state poste, non a caso gli esponenti delle compagnie che lavorano al metaverso hanno già incontrato capi di stato e ministri, sia direttamente sia attraverso le lobby, con l’obiettivo di assicurarsi che vengano create le condizioni affinché la gente sia costretta a interagire con il metaverso.
Gli effetti sono stati descritti in diverse opere visionarie, come quelle di Ernest Cline (“Ready Player One”, 2011 e “Ready Player Two”, 2020) e Neal Stephenson (“Snow Crash”, 1992), e siamo stati predisposti attraverso l’evoluzione di piattaforme di gioco, come Fortnite (2017), nelle quali il metaverso è di fatto già una realtà. Il controllo centralizzato del metaverso consegnerà tutte le peggiori pratiche già sperimentate su diverse piattaforme social nelle mani di un solo soggetto, che potrà decidere come utilizzarle. Possiamo scommettere già oggi che ciò avverrà nuovamente nell’esclusivo interesse del business e del controllo di massa. La violazione della privacy, la profilazione sociologica, l’induzione di comportamenti e forme di pensiero, la propaganda, saranno fra gli effetti più devastanti. Ovviamente, anche gli effetti fisici saranno un rischio enorme.
Come sta già avvenendo, molti sacrificheranno la loro realtà fisica, i loro beni e le loro finanze pur di acquisire vantaggi nel mondo virtuale. Vendere la casa, rinunciare all’auto, privarsi di beni essenziali pur di poter acquistare terreni, edifici, mezzi e opere d’arte virtuali diventerà progressivamente un fenomeno di massa, con il risultato di trasferire la ricchezza reale dei singoli nelle tasche di poche grandi compagnie senza scrupoli. Aumenteranno anche i disagi psicologici, con l’esplosione della separazione dal mondo circostante, l’isolamento sociale, la dissociazione cognitiva, l’apatia psichica e l’analfabetismo emotivo, che diventeranno fenomeni di massa.
Dal punto di vista dalla cybersecurity, i rischi riguarderanno il furto di informazioni, l’impersonificazione attraverso avatar contraffatti, il furto d’identità e attacchi mirati di varia natura che possono mettere a rischio i soldi, la riservatezza o addirittura l’incolumità delle persone. L’adozione crescente dell’intelligenza artificiale renderà impossibile distinguere se, dietro un avatar, c’è realmente una persona fisica oppure un bot informatico. Anche la sessualità verrà trasferita sul metaverso, con l’esplosione dell’ipersessualizzazione dei contenuti e addirittura l’apparizione delle prime molestie sessuali virtuali.
Perché le persone dovrebbero volere o sentire l’esigenza di adottare questa “realtà” virtuale, se già abbiamo una realtà? Ma come siamo arrivati a questo punto? La società ha fallito in qualcosa? E se sì, dove?
Per i più giovani, il metaverso è un’irresistibile occasione di costruire un proprio alter ego esattamente come vorrebbero essere, pagando soldi reali per acquistare skin e accessori al fine di rendere il proprio avatar il più vicino possibile alla loro idea di sé stessi. Tutti coloro che sentono di essere inadeguati rispetto ai loro pari o ai modelli proposti dal digitale troveranno la propria realizzazione attraverso il proprio avatar. Molti giovani di famiglie economicamente disagiate nel mondo reale avranno l’occasione di trovare riscatto nel mondo virtuale, attraverso la creazione di un’immagine di apparenza e ricchezza. Il metaverso offrirà numerose modalità di evasione da una realtà fisica sempre più difficile dal punto di vista sociale ed economico e sempre meno sostenibile psicologicamente. È evidente che la società abbia fallito, come ho già spiegato prima in merito ai social e al digitale, e fallirà di nuovo anche con l’avvento del metaverso.
Secondo lei è giusto parlare di “realtà” virtuale? È giusto utilizzare la parola “realtà”? Non si rischia di trasmettere maggiormente un possibile messaggio sbagliato, che porterebbe ancora di più a un utilizzo sbagliato e a una percezione distorta di queste tecnologie (ossia come sostitutrici della reale realtà)?
Certo, ma siamo stati abituati anche a questo, cioè all’uso distorto delle parole, attribuendo loro un significato opposto a quello che in realtà sottintendono:
- lo Stato pensa al bene dei cittadini,
- la politica si occupa delle cose importanti per il Paese,
- il sistema sanitario e le aziende farmaceutiche hanno come scopo la salute delle persone,
- la scuola pubblica promuove l’apprendimento e la cultura,
- l’euro ci ha consentito di guadagnare di più lavorando meno,
- per conseguire la pace è necessario inviare sempre più armi,
- per essere sani non servono movimento fisico e una corretta alimentazione, ma è sufficiente fare un vaccino.
L’era moderna è intrisa di dissonanza cognitiva, cioè quella difficoltà di elaborazione della mente umana quando è costretta a gestire credenze, nozioni e opinioni in contrasto e in contraddizione funzionale tra di loro, minando la propria integrità e la propria coerenza. Più è ampia la dissonanza, maggiori sono il malessere e il disagio generati nelle persone, che si traducono in senso di colpa, vergogna, imbarazzo, ansia, senso di inadeguatezza, disgusto, tensione e rabbia.
La conseguenza è che tale disagio deve essere in quale modo ridotto o rimosso, e per fare ciò esistono due opzioni: combattere la dissonanza cognitiva, oppure tollerarla e accettarla passivamente. Sempre più persone scelgono la seconda opzione, la più facile, ma anche quella che lascia conseguenze gravi e irreversibili nel medio-lungo termine, come la già descritta tendenza all’accettazione acritica e passiva degli eventi.
L’uso della parola “realtà” per denominare un mondo interamente virtuale non fa eccezione, anzi, segue la linea già tracciata per generare dissonanza cognitiva nel pubblico, accentuando anche la percezione distorta che si ha della tecnologia, anch’essa fonte di dissonanza cognitiva. Tutto ciò che è digitale porta con sé la promessa di migliorare la vita delle persone, garantendo vantaggi inimmaginabili sotto tanti aspetti, quando l’essere umano sa bene, quantomeno inconsciamente, che ciò comporta anche numerosi effetti negativi, come quelli già descritti. Dissonanza cognitiva, appunto.
Pensa che le persone che sono dietro questa nuova tecnologia (Meta, Microsoft, ecc.) e tutti coloro che stanno finanziando il metaverso (es. case di moda), guidati magari dal denaro, a un certo punto si fermeranno? Faranno in modo che le persone non diventino succubi di questa nuova piattaforma? O crede che dobbiamo essere noi a intervenire sin da subito? Come pensa che dovremmo intervenire?
Come ho già detto, a guidare queste persone e le compagnie che presiedono è unicamente il business. Etica, principi e senso di responsabilità sono già stati accantonati e soffocati da tempo. Non si fermeranno, come non si sono mai fermati in questi 30 anni di evoluzione digitale, nonostante sia universalmente chiaro come questo abbia generato effetti sempre più devastanti sulla società moderna. Loro lo sanno bene, ma ciò non ha mai neanche rallentato il progredire del digitale.
Anzi, hanno esercitato regolarmente pressioni sugli organi statali delle singole nazioni e sugli organismi sovranazionali affinché ignorassero accuratamente tutte le evidenze, senza intraprendere alcuna misura restrittiva o di contenimento nell’interesse dei cittadini. Di conseguenza, nessun aiuto arriverà neanche dallo Stato e dai suoi rappresentanti. Prova ne sia che tutte le iniziative in proposito, come le leggi sul Cyberbullismo e sul Revenge Porn o le disposizioni impartite agli istituti scolastici, hanno avuto scarsissimi risultati e non hanno intaccato minimamente gli interessi dei produttori digitali.
L’unica via di salvezza, a mio avviso, è continuare a investire nella promozione della consapevolezza del pubblico sugli obiettivi, i meccanismi occulti e perversi, e gli effetti del digitale.
Questo è un impegno che ho preso ormai 10 anni fa e che continuo a portare avanti con la mia umile opera di divulgazione sul mio blog, nei miei libri e nei tanti eventi di sensibilizzazione cui vengo invitato. È indispensabile portare queste iniziative a un pubblico sempre più vasto, senza la pretesa di imporre comportamenti più sani, bensì con l’obiettivo di spiegare chiaramente come funzionano le cose, per far maturare la giusta cognizione, spazzare via la dissonanza cognitiva e provocare la scintilla che può accendere il cambiamento nella mente delle persone, soprattutto dei più giovani. Le ultime generazioni sono quelle maggiormente esposte al rischio di una deriva psicologica e sociale talmente grave da distruggere la struttura stessa della società per come la conosciamo e la intendiamo, pertanto, è proprio su di loro che è necessario, anzi indispensabile, indirizzare i nostri sforzi. Può essere che, com’è successo in altre epoche passate, il genere umano sviluppi autonomamente l’antidoto per disinnescare gli effetti di questa spinta digitale, ma al momento non si vedono segnali in tal senso. Non credo sia ancora troppo tardi per intervenire, ma di certo è urgente farlo subito.