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Publico ergo sum: come siamo arrivati alle morti da social

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Il piccolo Manuel Proietti è una delle vittime dei trend demenziali che spopolano sui social, ma non cercava visibilità né fama. Le ha ottenute, suo malgrado, perché è morto. Non (solo) per colpa del gruppo di youtuber TheBorderline, bensì a causa dell’idiozia dilagante della società digitale moderna, in cui l’intelligenza si è ormai in gran parte spostata dall’essere umano alla tecnologia.

Siamo sempre più immersi in uno scenario da “Idiocracy”, nel quale il quoziente intellettivo generale è in forte e inarrestabile diminuzione. Il processo è stato avviato circa 15 anni fa, con l’avvento dei dispositivi digitali “smart”, che si sono progressivamente impadroniti della capacità nozionistica e di ragionamento degli utenti, resi sempre più incapaci di svolgere anche le operazioni più semplici. Il senso critico è stato demolito, sacrificato sull’altare dell’esibizionismo e della smaniosa ricerca dell’approvazione di orde di follower, tutti perfetti sconosciuti eppure così importanti per l’identità moderna.

L’identità di gran parte delle generazioni più recenti (Alpha, Z e parte dei Millennials-Y) è ormai prettamente digitale: publico ergo sum, esisto solo se genero contenuti online e se qualcuno li guarda e li commenta. E anche se nessuno considera i miei contenuti, è comunque fondamentale essere online. Grazie al modello Ferragnez, per diversi giovani la creazione di contenuti diventa la strada più rapida e agevole per fare soldi, evitando la fatica di studiare e lavorare. E, per creare contenuti, data la grave carenza di capacità di pensiero autonomo e di analisi critica, moltissimi si affidano alla pratica dell’emulazione dei contenuti altrui.

TikTok, Instagram e YouTube sono i luoghi in cui si svolge e si auto-alimenta questa orgia di conformismo digitale e omologazione acefalica. Un idiota pubblica un balletto demenziale? Subito migliaia di altri idioti si producono nell’emulazione del medesimo balletto, diventando parte integrante dello stesso degrado. Un deficiente si produce in una sfida assurda e pericolosa e la pubblica online? Fra gli spettatori c’è sempre chi, invece di considerare i pericoli e le possibili conseguenze per sé stesso e per gli altri, sceglie di prodursi nella stessa sfida, aumentandone così la diffusione e la popolarità e, quindi, la probabilità che qualcuno si faccia veramente male.

Avremmo dovuto arrestare questa deriva involutiva molto tempo fa, quando i social media sono approdati all’uso di massa e gli smartphone li hanno portati nelle mani di moltissimi utenti. Avremmo dovuto individuarne i rischi e le possibili conseguenze sulle persone e, più in generale, sulla società intera. Avremmo dovuto preoccuparci di affiancare all’evoluzione tecnologica digitale un programma di addestramento all’uso responsabile, consapevole e sicuro degli strumenti, puntando soprattutto sul fondamentale ruolo della scuola e della famiglia.

La scuola è rimasta per lungo tempo ferma a metodi e contenuti formativi degli anni ’60, sia per l’elevata età media dei docenti, sia per l’immobilità e l’incapacità delle istituzioni governative. Da qualche tempo ha subìto l’iniezione di un certo numero di bimbominkia di 25-30 anni che si producono nelle medesime gesta demenziali dei loro alunni. Lasciatemi coltivare il dubbio che ci sia stata addirittura una consapevole connivenza delle istituzioni nel lasciare che il business delle grandi aziende tecnologiche e di telecomunicazione prosperasse senza vincoli né limitazioni di sorta, a scapito dell’integrità psicofisica e culturale dell’intera società.

I genitori, rimasti unico baluardo a difesa della sanità mentale dei propri figli, sono in larga parte crollati di fronte alla persistenza e alla pervasività così soverchianti del digitale. Scrivevo già tre anni fa nel mio secondo libro “La tragedia silenziosa” questo passaggio:

“L’eccessiva indulgenza e la permissività dei genitori, la divergenza nell’interpretare il ruolo e l’assenza di regole chiare e condivise favoriscono comportamenti che mettono a rischio l’immagine, la reputazione e la salute mentale e fisica dei figli. Molti genitori, soprattutto i Millennials, sono preda essi stessi della medesima attrazione digitale, quindi, oltre che distratti, sono più accondiscendenti, tendono ad approvare molti comportamenti sbagliati ma sdoganati dai social media e, anche se non li approvano, i figli li adottano comunque a loro insaputa. Si sentono prigionieri della paura di discriminare i figli più piccoli rispetto agli altri coetanei, che hanno già lo smartphone e sono attivi nel chattare e pubblicare contenuti sui social. Troppo spesso sono proprio i genitori a fornire un esempio negativo ai figli, quando si lasciano distrarre troppo di frequente dal digitale e quando adottano comportamenti a rischio, come l’eccessiva condivisione di contenuti privati su di sé o addirittura sugli stessi figli, l’alimentazione della cultura dell’odio online, l’esposizione del proprio corpo sui social o l’emulazione delle tante sfide stupide e pericolose che affollano i social.”


Ettore Guarnaccia, La Tragedia Silenziosa (2020)

Ho scelto come immagine di questo articolo l’associazione padre-figlio, perché si sa che il frutto non cade mai troppo lontano dall’albero. Il ruolo difficilissimo dei genitori è infatti fondamentale per la formazione etica e valoriale dei figli.

Lo schianto della Lamborghini con la Smart, in cui stava il piccolo Manuel con la famiglia, ha dimostrato ancora una volta che l’idiozia promossa dai social e dalle aziende senza scrupoli conniventi può avere effetti devastanti sul mondo reale. Le testimonianze raccolte sul posto confermano l’analfabetismo emotivo e l’apatia psichica che contraddistinguono molti rappresentanti delle nuove generazioni, incapaci di decodificare le situazioni e le emozioni, sia proprie che altrui. Il “tranquilli, tanto daremo un sacco di soldi alla famiglia e sistemeremo tutto di uno dei ragazzi, accompagnato dal è stata solo una bravata, si risolverà tutto di uno dei loro genitori, sono una chiara dimostrazione di quanto ho più volte denunciato nei miei libri ed eventi. Subito dopo lo schianto, mentre portavano via il corpo del piccolo Manuel e soccorrevano il resto dei famigliari, nei filmati si vede chiaramente che un rappresentante dei The Borderline stava riprendendo il tutto con il cellulare, magari pensando alle visualizzazioni e ai like che avrebbe potuto ottenere in seguito.

Non c’è alcuna presunzione di giudizio in questo, solo sconcertante oggettività.

Coloro che ne hanno supportato e alimentato le gesta non hanno perso tempo nel tentativo di cancellarne le tracce, ignorando che il web non dimentica. Sony Italia ha rimosso il tweet nel quale glorificava i “contenuti da pazzi” (termine quantomai appropriato) del gruppo di youtuber e il concessionario Skylimit ha preso anch’esso le distanze dopo essere stato complice della tragica sfida. Coraggiosi nel business, codardi nella tragedia. YouTube, invece, non è intervenuta in alcun modo sul canale e sulla relativa monetizzazione del gruppo, tanto che le iscrizioni al canale sono addirittura aumentate dopo l’incidente. Non è nuova a questa indifferenza, basti ricordare il caso “Elsagate” (ne scrivo sempre nel mio libro).

Le tragedie accadono purtroppo, ma è evidente come la società digitale moderna abbia da tempo sdoganato la promozione culturale e commerciale di numerose forme di demenzialità che possono provocare danni irreparabili e morte. L’incidente di Casal Palocco non è un caso isolato. YouTube, Instagram e TikTok sono pieni di canali che propongono contenuti demenziali e pericolosi e che beneficiano della sponsorizzazione di aziende senza scrupoli né etica, alla ricerca di visibilità e guadagno. Sfide pericolose, temi futili e degradanti, esposizione del proprio corpo, ostentazione di ricchezza, fama, sesso e consumo di droghe sono elementi centrali dei contenuti proposti da moltissimi youtuber, instagrammer e tiktoker per fare soldi facili o semplicemente per appagare la propria smania di approvazione e riconoscimento altrui, ma con il risultato di distruggere la propria reputazione pubblica per sempre.

Si tratta pur sempre di emulazione: gli stessi contenuti di violenza, esposizione del corpo, ostentazione di ricchezza, fama, sesso e consumo di droghe vengono promossi dal mondo dell’intrattenimento, soprattutto dalla musica proposta dalle case discografiche e rilanciata da radio, televisione e social media. Fatevi una rassegna dei videoclip musicali e dei testi delle canzoni in voga nelle nuove generazioni, soprattutto quelle dei vari Sfera Ebbasta, Gemitaiz e Achille Lauro (per citarne solo alcuni), ne resterete inorriditi. Non c’è amore, non ci sono sentimenti sani e genuini, non c’è cultura né evoluzione. Solo sesso, violenza, droga, fama, soldi e ricchezza, che diventano i termini di riferimento, se non obiettivi di vita, di moltissimi giovani di oggi. Anche da qui nascono la normalizzazione dell’uso di cannabinoidi e la convinzione che i soldi possano risolvere tutto, compresa la morte di un figlio.

Non è difficile immaginare che 50 ore su un’automobile, per quanto lussuosa essa sia, possano indurre stanchezza e diminuzione dei riflessi e della capacità di pensiero. Se a questo uniamo la stoltezza tipica della giovane età, l’idiozia dell’idea promossa sui social e la voglia di andare oltre il limite pur di pubblicare contenuti da monetizzare, il mix che ne risulta può risultare devastante. Basta fare un giro su Instagram o TikTok per assistere ai tanti utenti irresponsabili che fanno la diretta live alla guida di automobili, furgoni e TIR in tutta Italia, mentre leggono i commenti e rispondono ai loro follower. Camionisti che guidano bestioni di svariate tonnellate, operatori di ruspe, gru e muletti, ma anche mamme che portano i figli a scuola, rigorosamente senza cintura di sicurezza altrimenti non entrano nell’inquadratura. Siamo alla demenza di massa.

Vuoi fare una challenge o una live per ottenere follower e guadagnare soldi? Almeno non mettere a rischio la vita altrui. Altri bambini e adolescenti sono morti a causa dei disturbi alimentari generati dall’idea di perfezionismo promossa dai social, della tendenza al suicidio esaltata sui social e alimentata dalla depressione da essi indotta, di sfide pericolose come l’ingestione di prodotti chimici, il soffocamento, il coma etilico per abuso di alcolici, il darsi fuoco, il selfie in cima a grattacieli, sul tetto di un’auto in corsa o sui binari del treno. Tutto rigorosamente davanti alla telecamera di uno smartphone. Ho scritto alcuni capitoli del mio libro “La tragedia silenziosa” per denunciare e spiegare questi fenomeni.

Sarò pessimista e cinico, ma sono assolutamente certo che, dopo la morte di Manuel, invece di condannare l’accaduto e comprendere i rischi di determinati comportamenti, diversi giovani avranno pensato “che figata, facciamo anche noi la challenge delle 50 ore in auto… anzi, facciamone 60!”.

Buona fortuna.

Ettore Guarnaccia


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