Con questo articolo prende il via una serie di 6 articoli che pubblicherò settimanalmente in un percorso di sensibilizzazione e consapevolezza sulle cause del progressivo aumento dei disagi psicologici negli ultimi 15-20 anni, soprattutto nelle nuove generazioni. Un periodo di tempo che coincide con l’avvento e la diffusione di massa della tecnologia digitale, in particolare social media e smartphone. Non è un caso.
Tratterò delle false promesse del digitale, l’economia dell’attenzione, lo spietato sfruttamento di specifici meccanismi neurologici, le modificazioni indotte sul pensiero e a livello psicofisico, la spasmodica ricerca di approvazione e riconoscimento dei più giovani, la sovraesposizione mediatica, gli effetti dell’abuso del digitale e quelli che ci dovremo attendere in futuro con l’imminente avvento del metaverso. Molti di questi aspetti sono trattati in dettaglio e con il conforto di citazioni medico-scientifiche nel mio libro “La tragedia silenziosa”, mentre gli altri sono stati trattati nei più recenti eventi che ho tenuto in giro per l’Italia.
In questo primo appuntamento racconto le origini della mia opera di volontariato a titolo gratuito per la sensibilizzazione e l’aumento della consapevolezza del pubblico sugli effetti che il digitale ha causato sulla società moderna, soprattutto sui più giovani. Inoltre, spiego la correlazione tra la diffusione di massa di social media e smartphone e l’aumento progressivo dei disturbi psicologici nelle fasce d’età più basse, confermata dai dati che ci vengono forniti da fonti governative e istituti riconosciuti a livello nazionale.
Il mio percorso di studio, approfondimento e restituzione al pubblico in materia di meccanismi e fenomeni del digitale iniziò nel 2014, quando mio figlio stava iniziando a interagire assiduamente con tablet e smartphone, utilizzando soprattutto YouTube e videogiochi. Stando al suo fianco e osservandone i comportamenti, da esperto di cyber risk, mi resi conto che era sì un abilissimo utente di app e giochi, ma non aveva alcuna competenza né su aspetti tecnici, né tantomeno nel saper riconoscere situazioni potenzialmente pericolose. Non aveva cognizione di cosa fossero Internet e Wi-Fi, per lui erano magie misteriose e nascoste la cui presenza era scontata e si avvertiva solo quando non funzionavano. Come rappresentante della Generazione Z (1996-2010), non aveva mai vissuto in una realtà priva di Internet, social, smartphone, app e videogiochi, per lui erano come il sole e la luna, c’erano sempre stati.
La sensibilità e la competenza in materia di rischi cyber, maturate in diversi anni di studi, esperienze e certificazioni internazionali in campo lavorativo, mi indusse a comprendere quanto il problema fosse serio e non riguardasse solo mio figlio, ma potenzialmente le nuove generazioni nel complesso. Cominciai a studiare i fenomeni riguardanti il digitale, al fine di individuarne i rischi e poterli rappresentare in maniera efficace. Fu come scoperchiare il vaso di Pandora e più approfondivo, più emergevano elementi da portare a conoscenza del pubblico. In quel periodo si fece avanti un istituto comprensivo di Padova che mi chiese di organizzare un evento di consapevolezza per gli studenti della scuola media e fu quell’evento, che intitolai “Figli e Internet”, la prima vera occasione di approfondimento e sensibilizzazione dei giovani. Il successo fu tale da generare numerose richieste da parte di altri istituti scolastici e associazioni culturali e sportive, per giovani e adulti. Da allora non mi sono più fermato e oggi ho già incontrato oltre 6mila adulti e oltre 4mila giovani in decine e decine di eventi in istituti scolastici, associazioni e rassegne in tutta Italia.
Nel 2017, stanco di consultare le solite indagini statistiche, spesso asettiche e quasi sempre focalizzate sulla diffusione dell’uso di social e smartphone, decisi di creare una mia indagine che mi aiutasse nel determinare più chiaramente i fenomeni e, soprattutto, quali impulsi e quali spinte emotive inducessero i giovani ad adottare determinati comportamenti a rischio. Misi insieme un questionario di ben 100 domande sui vari aspetti dell’esperienza digitale dei giovani e, grazie all’aiuto di alcune associazioni di promozione sociale e culturale, riuscii a somministrarlo a oltre 2mila soggetti da 8 a 18 anni d’età, impresa mai riuscita prima in ambito nazionale. La numerosità dei temi trattati nel questionario mi consentì di ricondurre allo stesso soggetto l’incidenza e le motivazioni di diversi fenomeni riguardanti la dipendenza, il cyberbullismo, l’esposizione di sé e altro ancora. I dati raccolti costituivano un tale tesoro di conoscenza che maturai l’idea di renderli consultabili anche al grande pubblico in un libro dal titolo “Generazione Z”, scritto e pubblicato nel 2018 con contributi di altri professionisti, sociologi, psicologi, psicoterapeuti ed esperti di tecnologia.
I dati raccolti ispirarono i contenuti dei miei eventi nei due anni a seguire, con un grande successo di interesse nel pubblico, nonostante il testo fosse pieno di grafici che riportavano i dati raccolti. Fu proprio l’esigenza di proporre un testo più leggibile e di stampo divulgativo che mi spinse a riprendere gli argomenti, arricchendoli con tutti i nuovi fenomeni (ad esempio, TikTok, Instagram Reels e il caso ElsaGate). Così, durante i primi mesi di lockdown pandemico, spinto anche dalla lettura dell’articolo “The silent tragedy affecting today’s children” della psicoterapeuta canadese Victoria Prooday, mi misi a scrivere “La Tragedia Silenziosa”, che pubblicai alla fine del 2020. Nel frattempo, continuavo a proporre eventi, interviste e articoli sul blog, proseguendo nella mia opera di volontariato gratuito per aumentare la consapevolezza di giovani e adulti.
Durante la scrittura dei due testi avevo consultato decine di indagini statistiche, ricerche mediche e scientifiche, studi psicologici, testi specialistici e fonti governative di diversi paesi del mondo. Incrociando e analizzando le informazioni raccolte, divennero sempre più chiare le motivazioni alla base dei comportamenti adottati dai soggetti esposti al digitale. Come denunciato dalla Prooday, negli ultimi 15 anni si erano registrati rilevanti incrementi nell’incidenza di problemi psicologici, ADHD, depressione e suicidi nei soggetti più giovani. Non solo questi incrementi erano confermati dai dati pubblicamente disponibili, ma i dati più recenti dimostravano che la situazione stava progressivamente aggravandosi, con un aumento esponenziale dell’incidenza dei problemi psicologici, soprattutto in infanzia e adolescenza.
Fu questo che mi spinse a chiedermi “ma cos’è successo in questi ultimi 15 anni che ha inciso così tanto sulle nuove generazioni rispetto a quelle precedenti?”.
Il mio intuito mi fornì subito la risposta: non potevano che essere l’avvento e la diffusione di massa di social media, smartphone e tablet, i cui utilizzatori più assidui erano indubbiamente i soggetti più giovani. Già in corrispondenza della diffusione di massa di Internet nei primi anni ’90 si parlava di “Internet Addiction Disorder” (IAD), che nei primi anni duemila si tramutò in “Social Media Addiction”. La dipendenza da videogiochi (la ludopatia patologica è stata riconosciuta dall’OMS nel 2019) era già una realtà diffusa, grazie alle console di gioco e ai personal computer, sebbene i titoli allora non fossero così assuefacenti come quelli moderni. Non esistevano ancora gli smartphone, perciò solo coloro che passavano molto tempo a casa seduti al computer erano più esposti agli effetti negativi delle prime forme di digitale. Fu lo smartphone a portare social media, videogiochi e sistemi di messaggistica nelle mani di milioni di giovani utenti per 24 ore al giorno, amplificando a dismisura l’esposizione agli effetti assuefacenti e, quindi, l’incidenza dei fenomeni correlati.

Non è un caso, quindi, se l’aumento dei disturbi psicologici ha subìto un’impennata successivamente alla diffusione di massa di social media (dal 2010) e degli smartphone (dal 2012), per poi aggravarsi ulteriormente con lockdown e distanziamento fisico imposti durante il periodo pandemico (2020-2021). Oggi i dati ufficiali di diversi organi governativi e istituti italiani indicano che un giovane su quattro nella fascia 12-25 anni soffre di disturbi psicologici, ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare, autolesionismo e tendenza al suicidio. I suicidi in Italia sono oltre 4mila l’anno secondo i dati ISTAT (2021), un livello mai raggiunto prima, mentre l’OMS indica il suicidio come seconda causa di morte a livello mondiale fra i giovani di età compresa fra i 15 e 29 anni, dopo gli incidenti stradali. Sono dati sconvolgenti, avvalorati dalla sovrapposizione dei tassi di diffusione delle tecnologie digitali con i tassi di depressione nelle fasce 12-17 anni e 18-25 anni (dati USA del Pew Research Center e The White House).
Questi temi e molti altri sono illustrati e approfonditi nel mio secondo libro “La tragedia silenziosa” disponibile per l’acquisto sul mio negozio online o su Amazon in vari formati.
Continua…