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La tragedia silenziosa: attention economy ed effetti di massa [2/6]

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Proseguiamo il percorso di sensibilizzazione e consapevolezza con questo secondo articolo (dei 6 previsti) nel quale affronto il tema dell’economia dell’attenzione e di come le grandi compagnie tecnologiche abbiamo sfruttato, in maniera spietata e per nulla etica, meccanismi neurologici che inducono specifici comportamenti sull’utente e sono alla base dello sviluppo delle forme di assuefazione e dipendenza. A questo si accompagna il tradimento delle promesse con le quali il digitale è stato offerto al pubblico e che ha causato un senso di solitudine diffuso a livello di massa. Un mix esplosivo all’origine di altri terribili fenomeni che caratterizzano inequivocabilmente la società moderna.

Le evidenze oggi disponibili, avvalorate dalle testimonianze dirette fornite da diversi esponenti di Silicon Valley, indicano chiaramente quale sia l’intento dei produttori di smartphone, social media, app e videogiochi, cioè quello di massimizzare il più possibile il tempo di interazione dell’utente con i dispositivi, il cosiddetto “screen time”. Il motivo è ovvio: attraverso queste tecnologie i produttori svolgono il loro business, pertanto, maggiore è il tempo di interazione dell’utente, maggiore è il volume di dati raccolto, analizzato e poi rivenduto a terzi, maggiore è il volume di pubblicità somministrata, e maggiore è la fidelizzazione degli utenti. Per conseguire l’obiettivo sono stati accantonati etica e sani principi, e sono stati abilmente sfruttati meccanismi neurologici ben conosciuti fin dal XIX secolo e consolidati nel corso degli anni ’50-’60-’70 del secolo scorso, come il condizionamento operante, il rinforzo intermittente e la ricompensa variabile. Lo confermano proprio coloro che hanno partecipato attivamente allo sviluppo dei meccanismi che regolano il mondo digitale, come Justin Rosenstein (ex Google e Facebook, inventore del “like”), Tristan Harris (ex Google, ha denunciato i meccanismi alla base del binge watching), Sandy Parakilas (ex Facebook, sull’analisi previsionale dei dati delle persone), Justin Santamaria e Chris Marcellino (ex Apple, creatori del sistema delle notifiche), Loren Brichter (ex Twitter, inventore del meccanismo “pull-to-refresh” con cui aggiorniamo i dati delle app) e Chamath Palihapitiya (ex VP di Facebook, sullo sfruttamento della dopamina). Il documentario “The Social Dilemma” (disponibile su Netflix) fornisce una visione d’insieme dei meccanismi nascosti del digitale e di come le Big Tech ne facciano business, anche se non approfondisce adeguatamente gli effetti che questi hanno sulla massa degli utenti.

Dagli studi di Pavlov, Thorndike e Skinner degli anni ’50 e ‘60 emerse che quando la risposta a uno stimolo è di entità variabile, la sollecitazione dello stesso stimolo da parte del soggetto diventa assuefacente e, quindi, compulsiva. Lo psicologo statunitense Burrhus Skinner, in particolare, aveva dimostrato con la sua “Skinner’s Box” che i topi che premevano un interruttore per ricevere il cibo e ne ottenevano in quantità variabile, erano indotti a premere l’interruttore più volte in maniera incontrollata, come fossero in preda ad astinenza. Era l’effetto della dopamina, il neurotrasmettitore del piacere che, nei topi come nell’essere umano, viene prodotto dal cervello e rafforza le aree cerebrali del sistema limbico, le stesse interessate dalle diverse forme di dipendenza da sostanze (alcol, fumo, droghe) o da comportamenti (gioco d’azzardo, pornografia, ecc.). Un’importante passo si compì negli anni ’70 con le ricerche di Bruce Alexander, psicologo canadese che svolgeva esperimenti sul consumo di eroina: ogni volta che un topo veniva messo in una gabbia con due erogatori, uno di acqua normale e uno di acqua con eroina, assaggiava entrambi e finiva per abusare dell’acqua con eroina fino a morirne. L’esperimento dava sempre lo stesso risultato e fu questo che indusse Alexander a chiedersi il perché. La sua intuizione fu quella di creare un parco topi, un ambiente 200 volte più vasto di una gabbietta, con decine di topi insieme, cibo e svago a volontà, nel quale i topi potevano svolgere diverse attività gratificanti, sempre con i due erogatori di acqua e acqua con eroina. I topi assaggiavano entrambi, ma bevevano esclusivamente l’acqua normale.

Il suo esperimento rese finalmente evidente quale fosse la vera causa delle dipendenze psicologiche: non i “ganci chimici” come si credeva, ma lo stato emotivo del soggetto. Un topo messo in una piccola gabbia, da solo, terrorizzato, non ha altra possibile gratificazione che assumere acqua con eroina fino a morire. Un topo inserito invece in un ambiente naturalmente gratificante e appagante non ha alcun bisogno della gratificazione artificiale. Per gli esseri umani funziona esattamente allo stesso modo. Una conferma importante si ebbe con la guerra in Vietnam. Quasi la metà dei soldati, impegnati in un ambiente particolarmente ostile, terrorizzante, con la prospettiva di morire da un momento all’altro, faceva uso di eroina e morfina, evidentemente nell’intento di estraniarsi da una realtà insostenibile, tanto che il governo USA era preoccupato dalla prospettiva di dover gestire centinaia di migliaia di reduci tossicodipendenti una volta rientrati in patria. Invece, una volta usciti da quell’ambiente terrificante e rientrati nell’ambiente famigliare con i loro affetti, il 95% dei reduci smetteva spontaneamente di assumere droghe. Erano usciti dalla gabbietta ed erano ritornati nel parco divertimenti, come i topi di Alexander.

L’essere umano è un animale sociale, che ha estremo bisogno di relazioni umane e di gratificazioni reali e naturali, come l’amore, l’affetto, l’amicizia e la condivisione di esperienze sociali. Lo conferma anche l’ISTAT, i cui dati evidenziano come la felicità di una persona dipenda fortemente dalla sua rete di relazioni sociali. Senza queste, soprattutto in situazioni particolarmente difficili (come problemi famigliari, mancato gradimento dai propri pari, esclusione sociale, difficoltà economiche, ecc.), si generano quelli che io definisco “buchi emotivi”, cioè carenze emozionali che richiedono necessariamente un riempimento. Se la gratificazione non arriva in maniera naturale, deve in qualche modo arrivare in maniera artificiale, sotto forma di dipendenza patologica da sostanze o da comportamenti.

Il problema della società moderna è che viviamo nel pieno dell’era della solitudine, come confermano numerosi filosofi, psicologi e sociologi, e come ci rivelano diverse indagini statistiche. Secondo un’indagine di Kaspersky di giugno 2020, il 55% degli italiani si è sentito più solo durante il lockdown, ma il 40% si sentiva solo già prima, con una percentuale del 73% fra i giovani della generazione “Z” (1996-2010). Un’indagine del Sole 24 Ore (giugno 2023), riporta un’incidenza del senso di solitudine del 33% degli italiani, che sale a circa il 55% nella fascia 18-34 anni, nella quale la probabilità di pensare al suicidio cresce del 14%.

Da dove arriva questo senso di solitudine diffuso? Ovviamente dal digitale, da quella che io ho definito “la falsa promessa”.

L’avvento dell’iPhone è stato accompagnato da slogan come “this changes everything, lasciando intendere che l’avvento dello smartphone, e la conseguente disponibilità di strumenti di messaggistica e social media in palmo di mano, avrebbero facilitato al massimo le relazioni e le comunicazioni tra esseri umani in tutto il mondo. Ma, se è vero che oggi possiamo chattare in qualsiasi momento con chiunque dall’altra parte del pianeta, è anche vero che l’intermediazione comunicativa introdotta dai dispositivi digitali ci ha privati di colpo di elementi fondamentali della comunicazione umana, come il contatto oculare, il tono e il colore della voce, il linguaggio del corpo, le emozioni e le reazioni, nonché di quella predisposizione naturale a generare nuove relazioni. Oggi, quando siamo in situazioni in compagnia di altre persone, ad esempio in sala d’aspetto, in coda alla posta o su un mezzo pubblico, l’azione che quasi sempre svolgiamo inconsciamente è quella di tirare fuori lo smartphone e annegare lo sguardo nel display, escludendo il resto del mondo.

Questo cambiamento epocale, introdotto dal digitale nella società moderna, è alla base dello sviluppo e della diffusione di apatia psichica e analfabetismo emotivo, nonché della totale distruzione del senso critico. Molti di noi, soprattutto tantissimi giovani, sono ormai incapaci di decodificare le situazioni cui assistono, non sanno riconoscere emozioni, sentimenti e reazioni altrui né le proprie, non sanno più usare le proprie capacità analitiche e di ragionamento per valutare ciò che accade e le possibili conseguenze delle loro azioni. Questo spiega l’apparizione e la diffusione di fenomeni come il cyberbullismo, l’emulazione acritica di azioni demenziali e pericolose, la produzione di contenuti digitali a sfondo sessuale (sexting), l’esposizione eccessiva del proprio corpo sui social, il ricorso sempre più diffuso a canali di prostituzione online a pagamento e molto altro ancora. Senza questi presupposti, il fenomeno degli influencer online non avrebbe così tanto seguito e non potrebbe favorire futilità, ignoranza e falsi princìpi verso intere generazioni.

La televisione (prima) e ciò che viene veicolato dal digitale attraverso i social media (poi), ci hanno abituato negli anni a consumare verità preconfezionate e pronte all’uso, abbandonando qualsiasi velleità di analisi critica a favore di comode e conformistiche rappresentazioni degli avvenimenti. Non si ragiona più, non si analizzano più le informazioni con senso critico, non si mettono più in discussione le affermazioni e le notizie fornite da organi ufficiali di informazione. La forma mentis moderna è totalmente improntata all’obbedienza passiva, alla sottomissione acritica all’autorità, alla chiusura verso il prossimo. Questo, a sua volta, spiega l’elevatissimo tasso di accettazione di misure restrittive delle libertà individuali e la violazione di diritti fondamentali dell’essere umano in nome di reiterati stati di emergenza e di ideologie assolutamente innaturali. Approfondiremo ulteriormente questi aspetti nei prossimi appuntamenti.

Questi temi e molti altri sono illustrati e approfonditi nel mio secondo libro “La tragedia silenziosa” disponibile per l’acquisto sul mio negozio online o su Amazon in vari formati.

Continua…


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