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La tragedia silenziosa: gamblification, gamification e devianza [4/6]

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Quarto articolo (dei 6 previsti) del percorso di sensibilizzazione e consapevolezza sugli effetti del digitale sulla società moderna, nel quale riprendo il tema dello spietato sfruttamento di meccanismi neurologici da parte dei produttori di social media, videogiochi e dispositivi digitali per indurre assuefazione e dipendenza nell’utente. Mentre app, social e videogiochi mutuano meccanismi tipici del gioco d’azzardo per aumentare al massimo l’interazione e la fidelizzazione degli utenti, il gioco d’azzardo si traveste da innocuo videogioco per mascherare la sua vera natura. Nel frattempo, a causa dell’assenza di leggi e regolamentazioni, milioni di bambini e adolescenti vengono esposti a contenuti traumatizzanti e devianti, potenzialmente nocivi per il loro sviluppo psicofisico.

Il disagio interiore diffuso, di cui ho trattato nei primi due articoli della serie, è il terreno fertile sul quale i produttori di dispositivi digitali, app e social media hanno costruito le proprie fortune, sfruttando abilmente e senza scrupolo alcuno i meccanismi neurologici che generano assuefazione e dipendenza. In particolare, proprio il meccanismo della ricompensa variabile, che viene attivato in pressoché tutti gli aspetti dell’esperienza digitale. Le notifiche, ad esempio, possono nascondere una novità positiva, negativa o indifferente. La pubblicazione di un post o una foto può produrre like e commenti positivi o negativi, oppure essere totalmente ignorata. L’aggiornamento della schermata di un’app o di un social può mostrare nuovi contenuti interessanti o meno, oppure non mostrarne affatto. Una situazione molto simile a quando, da bambini, si aspettava con ansia il momento di aprire i regali di Natale, nei quali potevano nascondersi il regalo tanto desiderato, il solito famigerato maglione della nonna o qualcos’altro di assolutamente indifferente. Altro esempio è costituito dalle storiche bustine di figurine Panini, il cui acquisto era una tentazione irresistibile, salvo poi essere delusi dalle solite figurine già possedute o gratificati da nuove figurine tanto agognate in quanto mai trovate prima. La dopamina schizza ai massimi livelli nel cervello proprio quando si introduce l’incertezza nel periodo che intercorre tra l’azione e il risultato dell’azione stessa. Proprio come nei topi di Skinner di cui ho parlato nel secondo articolo.

L’industria del digitale l’ha capito da qualche anno e non si è fatta scrupoli a sfruttarlo a scapito degli utenti, introducendo consapevolmente e colpevolmente numerosi meccanismi mutuati dal gioco d’azzardo nei propri prodotti. Si chiama “gamblification” (da “gambling”, giocare d’azzardo) e consiste in tutti quei meccanismi di apertura di qualcosa di chiuso (bauli, casse, buste, ecc.) per ottenere qualcos’altro di utile/positivo, inutile/indifferente o indesiderato/negativo. Si tratta, in particolare, delle cosiddette “Loot box”, una sorta di scatole premio che contengono oggetti virtuali e che vengono riempite da un generatore casuale o dalle logiche del videogioco. Clash of Clans e Clash Royale sono stati fra i primi videogiochi a sfruttare il meccanismo con l’introduzione di bauli da aprire per trovare elementi di gioco, diventando in poco tempo fra i più giocati al mondo. Fortnite, famosissimo gioco sparatutto in terza persona di tipo “battle royale” (ma con chiari connotati da metaverso), prevede l’apertura di bauli a ripetizione durante le sessioni di gioco per recuperare elementi di gioco utili o inutili, ed è diventato così uno dei titoli più giocati al mondo arrivando a guadagni di circa 5 miliardi di dollari l’anno (nonostante sia gratuito). Oggi le loot box sono comuni in moltissimi videogiochi, come Overwatch, Roblox, Mario Kart Tour, Counter-Strike, persino l’insospettabile FIFA include il concetto di loot box sotto forma di bustine all’interno delle quali si nascondono giocatori di calcio più o meno famosi. Inutile chiedersi perché, vero?

Altro aspetto che cattura gli utenti e risulta determinante nel generare assuefazione è la possibilità di personalizzare il proprio personaggio, l’avatar con cui ci si presenta sul terreno di gioco e con cui gli altri giocatori ci identificano. Spendendo piccole (ma frequenti) somme, è possibile acquistare elementi grafici (le cosiddette “skin”) da applicare al nostro personaggio, sotto forma di abbigliamento o di aspetto fisico. In molti casi le skin ricalcano l’aspetto di personaggi famosi del cinema, della musica, dei fumetti, supereroi, ecc. Questa pratica è irresistibile per moltissimi utenti, soprattutto nella complicata fase dell’adolescenza, quando l’aspetto fisico è uno dei fattori principali di insoddisfazione e motivo di scherno da parte dei propri pari. La possibilità di costruire un avatar esattamente come vorremmo essere diventa così una tentazione cui è difficilissimo resistere e che ha contribuito alla fortuna di giochi come League of Legends e World of Warcraft, oltre al già citato Fortnite.

Non sono casi, ma sviluppi appositamente pensati e realizzati per tenere gli utenti incollati al gioco e per favorire un mercato che frutta oltre 120 miliardi di dollari l’anno. Il sistema si è allargato anche ad altri ambiti, ad esempio alle app mobile di istituti bancari e assicurazioni che offrono il concetto di ricompensa variabile a fronte della raccolta di elementi (monete, stelline, punti, ecc.) che si trovano all’interno di bauli, buste o altre cose da aprire.

Come risposta, il mondo del gioco d’azzardo ha pensato bene di mascherare i propri meccanismi assuefacenti sotto forma di videogiochi, in un processo definito “gamification” che ha l’obiettivo di rendere l’azzardo del tutto innocuo agli occhi dell’utente e dell’opinione pubblica, con il risultato di aumentare gli introiti e il livello di assuefazione e dipendenza nella massa. Moltissimi casinò online e lotterie su Internet hanno adottato una veste grafica molto simile a quella dei videogiochi, così oggi troviamo titoli come “Animals of Africa”, “Starlight Princess”, “Madame Destiny”, “Fattoria d’Oro”, “Book of the Fallen”, “Gates of Olympus”, “Mammoth Tundra”, “Secrets of Alchemy” e tanti altri che sembrano giochi ma nascondono gioco d’azzardo vero e proprio. Inoltre, programmi di affiliazione, bonus selezionati, missioni speciali, tornei e classifiche contribuiscono a generare assuefazione e a mantenere i giocatori con il pensiero fisso sul gioco d’azzardo.

Tutto questo rende il gioco irresistibile e assuefacente per tanti giovanissimi, che trascorrono diverse ore al giorno alla console o su tablet e smartphone rubando tempo prezioso allo studio, alle attività sportive o all’aperto, talvolta anche ad attività primarie come il sonno, l’alimentazione e l’igiene personale. In molte giovani coppie, la console di gioco rappresenta una presenza ingombrante, che distoglie soprattutto i maschi più immaturi dalle attenzioni alla propria compagna e dalle incombenze famigliari. Un problema che si aggrava ulteriormente in presenza di figli.

Il problema dell’altissima diffusione dei videogiochi fra i giovani (vi gioca il 99%), derivante dallo sfruttamento dei meccanismi neurologici che generano assuefazione, è direttamente collegato anche all’effetto che i contenuti di determinati videogiochi possono avere su specifici soggetti. La chiave è sempre lo stato emotivo del videogiocatore e il ruolo della famiglia è determinante. In sintesi, gli effetti principali sono due: dipendenza patologica e assimilazione di contenuti devianti. Entrambi possono avere effetti devastanti sui soggetti più psicologicamente deboli o in stato emotivo particolare.

La dipendenza patologica si sviluppa quando il soggetto è in preda a una situazione emotiva fortemente negativa, spesso frutto di problemi sperimentati in ambito famigliare, scolastico o nella cerchia dei propri pari, senza che al soggetto vengano imposti limiti di tempo di gioco o vincoli sui contenuti dei videogiochi. È indubbio, infatti, che certi videogiochi generino maggiore assuefazione e dipendenza rispetto ad altri, per questo è fondamentale conoscerne contenuti e meccanismi. La riprova dell’effetto di questi videogiochi si ha nel momento in cui qualcuno (un genitore o il partner) obbliga il soggetto a interrompere il gioco: se la reazione è di rabbia isterica, allora avremo la prova che il meccanismo abbia effettivamente generato l’effetto assuefacente voluto dai produttori e il soggetto sia in preda a una forma di dipendenza.

Un altro importante rischio è legato al consumo di videogiochi con contenuti particolarmente devianti del pensiero, soprattutto se associato al rischio di assuefazione e a uno stato emotivo negativo. Pochissimi genitori conoscono il sistema di classificazione PEGI e ancora meno lo prendono in considerazione prima di esporre i propri figli al contenuto di un titolo, così tantissimi bambini e preadolescenti si ritrovano liberi di giocare con videogiochi espressamente inadatti ai minori. Ancora oggi non esiste una legge che impedisca a soggetti minorenni di entrare in contatto con contenuti traumatizzanti, devianti o palesemente inadatti alla loro età. La disponibilità di titoli con questo tipo di contenuti è molto vasta: Silent Hill, Dead Space, Resident Evil e GTA sono solo alcuni esempi di videogiochi che contengono orrore, uccisioni, stragi, sangue, torture, mutilazioni, sesso esplicito, prostituzione, consumo di droghe e criminalità in genere. Tutti elementi che, nella mente dei soggetti più piccoli o più deboli, ancora privi delle giuste chiavi di interpretazione, e di quelli con uno stato emotivo particolarmente negativo, contribuiscono a generare una forma mentis più o meno deviata, con il rischio di sviluppare una certa predisposizione alla violenza, al consumo di sostanze e a comportamenti molto poco edificanti.

Questi temi e molti altri sono illustrati e approfonditi nel mio secondo libro “La tragedia silenziosa” disponibile per l’acquisto sul mio negozio online o su Amazon in vari formati.

Continua…


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