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Attacco alle libertà online per interessi privati: la fine è vicina

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Esistono due tipi di Europa: c’è quella che impone austerità e tagli alla spesa pubblica e c’è quella che spinge verso il potenziamento delle infrastrutture digitali e la salvaguardia delle libertà d’informazione ed espressione sul Web. C’è da chiedersi perché il nostro governo si dimostri oltremodo devoto e votato alla prima, mentre tende ad ignorare del tutto la seconda.

Alla luce dei recenti avvenimenti, l’attuale governo si conferma di fatto come il più devastante per le libertà online, la diffusione della conoscenza, l’informazione indipendente e l’innovazione, dimostrandosi sempre più orientato agli interessi dell’industria editoriale e dell’intrattenimento. Evidentemente, il governo ritiene molto più importanti gli interessi economici di pochi (le lobby) rispetto al diritto all’informazione e alla cultura di molti (i cittadini). L’ennesimo brutto colpo per chi crede ancora ad una politica al servizio del cittadino, all’assioma “sinistra uguale cultura”, all’esistenza del bipolarismo, all’opportunità di cambiare l’Italia versando due spiccioli alle primarie di un partito e ad altri concetti appositamente ideati per dividere le masse e impedire una visione complessiva del quadro.

L’Italia soffre ancora di un’insufficiente tasso di penetrazione della banda larga rispetto agli altri paesi europei (per non parlare degli Stati Uniti) e ha un’infrastruttura di telecomunicazione antiquata (che ha anche ceduto al controllo spagnolo), tuttora basata sul doppino telefonico e l’ultimo miglio, tanto da posizionarsi in fondo alla classifica mondiale per velocità di download e di upload. Le tanto pubblicizzate offerte di ADSL, fibra ottica o navigazione cellulare veloce, infatti, riguardano servizi (peraltro costosi) che all’estero sono ormai la normalità da diversi anni.

Il nostro governo, storicamente legato ad interessi economici privati con l’editoria audiovisiva, non solo ha fortemente penalizzato la diffusione della conoscenza, dell’espressione personale e dell’informazione indipendente sul Web, ma ha anche scoraggiato l’evoluzione digitale della nostra economia, ostacolandola con numerosi attacchi, minacce e il mancato adeguamento delle normative interne a quelle europee.

 

Il nuovo regolamento Agcom

Da qualche giorno, il Web è stato di fatto consegnato nelle fameliche mani delle lobby dell’industria del copyright. Il Consiglio di Agcom ha approvato giovedì 12 dicembre 2013, all’unanimità, il nuovo regolamento a tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, che entrerà in vigore il 31 marzo 2014. Lo ha fatto senza considerare le numerose lamentele delle associazioni a tutela dei consumatori e degli utenti del Web, senza sottoporre l’approvazione del testo al Parlamento Italiano, scavalcando l’autorità giudiziaria e violando la Costituzione Italiana. In definitiva, calpestando intenzionalmente, con estrema arroganza e prevaricazione, i diritti di cittadini, utenti e consumatori.

Non era mai accaduto prima che un organismo statale, che non fosse la magistratura, si arrogasse il compito di giudicare eventi già regolati sia dal diritto civile che penale, oltretutto agendo per via amministrativa e relegando la magistratura ad un ruolo di secondo piano. Un’azione che contrasta apertamente con la Costituzione Italiana, il cui articolo 102 prevede che la funzione giurisdizionale sia esercitata da magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, e che non possono essere istituiti giudici straordinari o speciali. A nulla sono serviti i moniti di magistrati e esperti, che hanno chiesto ad Agcom di desistere dalla sua funesta intenzione.

Il nuovo regolamento, purtroppo, non bilancia adeguatamente le esigenze di tutela del diritto d’autore con le libertà d’impresa e d’espressione che appartengono di diritto ai cittadini, lasciando aperte diverse questioni inerenti i maggiori costi che gli organi statali, i fornitori di servizi Internet e la magistratura dovranno sostenere a fronte delle nuove e più restrittive regole. Costi che graveranno sui cittadini, non sull’industria che beneficerà delle nuove disposizioni.

Eppure il Parlamento non è innocente: ben due proposte di legge per la riforma della tutela del diritto d’autore giacciono da tempo in un cassetto e sono tuttora in stato “da assegnare”. Si tratta delle proposte avanzate dal senatore PD Felice Casson e dalla deputata M5S Mirella Liuzzi, i cui contenuti affrontano il problema del copyright con un approccio più organico ed equilibrato, più allineato con le recenti evoluzioni della rete, dei canali e dei dispositivi di fruizione delle opere protette, nonché più coerente dal punto di vista delle responsabilità e delle competenze in ambito procedurale e giudiziario. Entrambe le proposte dichiarano di allinearsi con il quadro normativo generale previsto a livello europeo sullo stesso tema.

Qualora il Parlamento decidesse finalmente di tramutare in legge le due proposte, il regolamento di Agcom dovrebbe obbligatoriamente adeguarsi alle nuove norme legislative, riportando la tutela del diritto d’autore entro binari di maggiore equità e coerenza. Eppure, nonostante gli auspici di facciata della presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, il tempo è finora trascorso invano e le due proposte sono ancora lì ad accumulare polvere, mentre Agcom veleggia indisturbata verso l’adozione del nuovo regolamento.

 

Nuovi decreti, nuovi attentati

Venerdì 13 dicembre, il Consiglio dei Ministri ha varato un decreto su interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia” (denominazione che evoca la consegna di un pacco), lo stesso che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti e introduce il 2 per mille, all’interno del quale sono previste misure estremamente penalizzanti per la libertà d’informazione. A partire da nuove disposizioni per la soluzione di controversie inerenti l’utilizzo di contenuti giornalistici da parte di motori di ricerca o di aggregatori di notizie, ovviamente anch’esse a tutela del diritto d’autore. In pratica, prima di linkare, indicizzare, integrare o aggregare un qualsiasi contenuto giornalistico, è ora richiesto il consenso del rispettivo editore. Com’è possibile immaginare, siamo di fronte ad un preciso attacco a motori di ricerca, servizi di news e blog di critica e informazione indipendente, che sarebbero costretti a mercanteggiare con i grandi gruppi editoriali da una posizione estremamente sfavorevole.

In aggiunta, come ulteriore penalizzazione dello sviluppo di nuove tecnologie di informazione e della diffusione della cultura digitale, il Consiglio dei Ministri ha escluso l’editoria elettronica dai provvedimenti di incentivazione dell’editoria, preannunciando che il prossimo decreto conterrà la proposta del ministro Bray di introdurre nuove tasse su smartphone, tablet e personal computer, a partire già da gennaio 2014, per risarcire la SIAE (e gli autori e editori che rappresenta) di fantomatici mancati introiti dovuti alle copie private di canzoni, film e altre opere protette. Definito “equo compenso”, consiste in una somma che la SIAE dovrebbe ridistribuire equamente fra autori ed editori, ma che finisce ovviamente nelle tasche degli artisti più noti, quelli più enfatizzati dalle major.

Ottime soluzioni per affossare del tutto l’informazione, la cultura e la competitività economica del nostro paese. Come vedremo in futuro, i provvedimenti e i disegni di legge in tal senso diverranno sempre più frequenti, e contribuiranno a rafforzare la sensazione che una tale isterica ostinazione nasconda in realtà una crescente consapevolezza sull’imminente fine del sistema per come lo conosciamo.

 

Il nocciolo della questione

La fondamentale mutazione del mercato delle opere protette, dovuta al crescente diffondersi di nuovi canali di fruizione e nuovi dispositivi idonei al godimento di contenuti audiovisivi in formato digitale, oltre che alla progressiva abitudine degli utenti e dei consumatori a farvi sempre maggiore ricorso, resta tuttora da affrontare per il governo. Questa mutazione ha creato un mercato tutto nuovo, che richiede pratiche commerciali e modelli di business innovativi, e rende l’approccio storicamente conservativo adottato dall’industria del copyright del tutto antiquato. L’assenza di un’adeguata offerta commerciale dei contenuti fruibili su piattaforme telematiche o la loro offerta solo a seguito del decorso di considerevoli periodi di tempo dalla nascita del contenuto, non consentono di cogliere i vantaggi economici e culturali connessi all’ampliamento del mercato di riferimento.

Il mancato adeguamento dell’industria del copyright al nuovo mercato è concausa, se non causa principale, del fenomeno della pirateria audiovisiva, poiché l’assenza di un’adeguata offerta legale di contenuti online, in termini economici, temporali e di fruizione, induce inevitabilmente utenti e consumatori a rivolgersi ai canali di distribuzione illegale, determinando mancati guadagni astronomici per il settore industriale e per l’erario, oltre a innescare iniziative legislative e giudiziarie che puntano spesso a minare la libertà d’impresa economica e di espressione del pensiero online. Il nocciolo della questione sta tutto nella mancata comprensione dell’entità e della tipologia di domanda che utenti e consumatori esprimono verso i contenuti protetti da copyright. Sul fronte dell’intrattenimento, quindi, la questione è semplice: i prodotti audiovisivi costano troppo, sono difficilmente fruibili rispetto ai canali e dispositivi moderni, soffrono di tempi di distribuzione biblici e solo una minima parte dei proventi finisce nelle tasche dei veri autori.

Sul fronte dell’informazione, invece, il problema non è rappresentato solo dagli interessi economici di lobby, politici e governanti, ma anche dall’enorme pericolo che il Web rappresenta per la loro reputazione e le loro pratiche occulte. L’importante e vasta offerta di servizi d’informazione indipendente che si è sviluppata negli anni, infatti, è giunta a contrastare con una certa efficacia le fonti di informazione istituzionali e i media mainstream, con il risultato che, oggi, qualsiasi contenuto o dichiarazione ufficiale viene puntualmente analizzato, sviscerato, commentato e spesso smontato con dovizia di particolari e prove a supporto. Sono finiti i tempi in cui il cittadino era costretto a sorbirsi un’unica versione, appositamente confezionata per formarne scelte ed opinioni.

Non che questo abbia finora impedito il perpetuarsi di pratiche criminali di grande portata ma, per chi detiene il potere, tutta questa controinformazione, sempre più efficiente, rappresenta un rumore di fondo particolarmente fastidioso, nonché un preciso rischio di risveglio di un numero sempre maggiore di coscienze. Essi, infatti, operano grazie al consenso diretto o (il più delle volte) indiretto dell’opinione pubblica, delle masse, e nutrono un certo timore che tale consenso possa essergli palesemente negato. Un timore più che fondato, del tutto sconosciuto a coloro che operano nell’onestà e nella verità, mettendo l’interesse comune davanti al proprio.

Basta guardarsi attorno: stanno lentamente ma inesorabilmente crollando tutti i pilastri (politica, economia, finanza, informazione, persino religione e sport) di quello che è sempre stato il più grande inganno perpetrato ai danni dell’intera popolazione mondiale, dal quale noi italiani non siamo affatto esclusi. Anche in questo caso la soluzione è estremamente semplice: abbracciare la verità a tutti i livelli. Una scelta che non faranno mai e che li porterà inevitabilmente alla loro stessa fine.

 

Ettore Guarnaccia

 


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